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martedì 28 gennaio 2020

4956. Sante parole!

L'articolo termina così:
"Nella mia carriera ho visto persone altamente infelici al lavoro, che erano in costante conflitto con il team, e che nonostante questo non venivano neanche sfiorate dall’idea di cambiare posto: mi sono chiesta se un atteggiamento simile non derivasse dall’ottica tipicamente italiana di identificare qualsiasi gruppo di cui ci si trova a far parte come “famiglia”: “È molto probabile che la dinamica fosse proprio quella: in questa prospettiva, pur di farte di un gruppo, si ricostruisce sempre la famiglia anche se la si disprezza, e ci si costringe al proprio interno ad ogni costo: questo è un errore assoluto. Il team non è una famiglia, ma opera per ultimare progetti lavorativi. Se di conseguenza un team funziona come una famiglia, allora è disfunzionale, per il semplice fatto che in famiglia invece si sta per amore.
Lavorare per voler bene e farsi voler bene è quindi una contraddizione, e non può funzionare. Anche qui parliamo di intelligenza emotiva, necessaria per l’interazione sul luogo di lavoro: in ambito professionale non si può dare per ricevere, ma si deve dare solo per dare il giusto, che viene richiesto dal progetto e dal proprio ruolo”.

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