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sabato 21 gennaio 2017

3947. Di orari, slot machine e Consiglio di Stato


Lavoro da ormai dieci anni come educatore professionale per aiutare i giocatori d'azzardo patologici a smettere e dedicare le loro energie a qualcosa di più vitale e piacevole. Spesso mi è capitato in questi ultimi mesi di sentirli commentare positivamente l'iniziativa del Comune di Torino, come da legge regionale, di limitare gli orari di accensione delle slot e delle VLT. Poteva capitare che avessero voglia e con qualche decina di euro in tasca volessero andare a giocare, peccato che le trovavano spente, così tornavano a casa in qualche modo contenti, perché non avevano giocato e perché le Istituzioni li avevano aiutati a fare qualcosa che qualche volta non possono controllare. Non si tratta solo di una questione di volontà, ma il giocatore proprio non può fare a meno di mettere denaro in quelle macchinette, ben sapendo che spesso non vincerà. Quando parlo con loro spesso gli rimando che sono comunque responsabili delle loro azioni ma soprattutto dell'impegno che hanno nei loro confronti e nei confronti delle persone che gli vogliono bene, di smettere di giocare d'azzardo. Alcune volte ci riescono, altre no. Con il tempo le cose migliorano e anche nelle famiglie si torna a respirare un'aria migliore, ma non tutte le storie finiscono bene, perché alcuni compiono omicidi oppure si tolgono la vita. Anche questa è la realtà che baristi, tabaccai, gestori di sale slot, Concessionarie e governi vari hanno contribuito a creare. Non ci si può tirare indietro e dire che è un problema del singolo, una sua debolezza e che nessuno è responsabile perché le macchinette sono lì, a disposizione di chi le vuole. Ogni slot è disegnata per tenere il giocatore il più a lungo possibile attaccato al suo schermo, fintanto che le tasche non sono vuote. In cambio promette una ipotetica vincita in denaro e tanta felicità. Non possiamo far finta che non sia la realtà. Estrarre valore dai giocatori è la principale preoccupazione di questa industria. Obiettivo legittimo, visto con gli occhi dell'imprenditore. Molto meno visto con gli occhi dell'educatore. Ora ognuno è libero di compiere gli atti che più gli si addicono, ma se un numero di baristi, tabaccai e gestori di sale iniziasse a farsi delle domande, e alcuni lo hanno già fatto, sul come creano la loro più o meno grande ricchezza, si tornerebbe a pensare alle persone come a delle persone, non a degli oggetti da cui estrarre valore, costi quel che costi.
Infine due parole sui numeri. Notizie giornalistiche riportano che il provvedimento comunale è stato sospeso dal Consiglio di Stato perché è un fenomeno che non è fuori controllo, perché secondo chi ha presentato il ricorso riguarda un numero infinitesimo di torinesi, lo 0,03percento. Se contiamo che nel capoluogo piemontese vivono 900mila persona, anche se sono un po' meno, il calcolo porta a 270 persone. Da dove venga questo esiguo numerino posso anche immaginarlo, cioè alle persone che si rivolgono ai Servizi per le Dipendenze torinesi, anche se nel 2014 erano 316 e negli anni sono aumentate. Nella Relazione al Parlamento sui dati relativi allo stato delle tossicodipendenze in Italia 2015 è scritto che i giocatori problematici e a rischio di gioco patologico sono pari al 2,1percento e i giocatori d'azzardo patologici sono pari all'1,9percento. Chissà come mai non sono stati usati questi numeri, che fanno dire che ci sono almeno 17mila persone che hanno seri problemi con il gioco d'azzardo a Torino. Ma il punto è che non esistono solo questi servizi per prendersi cura del gioco d'azzardo patologico, ma sopratutto non si può far discendere sempre tutto da un mero calcolo economico, così come non trovo etico e morale non fare ricerca scientifica per patologie che colpiscono pochissime persone. Eppure queste persone meriterebbero almeno una speranza che un giorno venga trovata una cura, ma nessuno ahimè investe per curare poche persone. Una soluzione che trovo aberrante, sopratutto quando si leggono i fatturati di BigPharma e i guadagni dei loro CEO.

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