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domenica 16 novembre 2014

2631. Ma a prescindere da quanto parli, con questa società io sono in conflitto


Il 30 settembre 2014, a soli 24 anni, Xu Lizhi si è suicidato. Oltre a lavorare in fabbrica anche per 12 ore di fila , Lizhi era un regolare collaboratore della rivista interna alla Foxconn di Shenzhen, una metropoli della Cina meridionale da 15 milioni di abitanti. Scriveva saggi, poesie e recensioni. I suoi versi, semplici e cupi, hanno trovato un pubblico più ampio solo dopo la sua morte. Sono stati i suoi colleghi a raccoglierli e a farli pubblicare sul quotidiano di Shenzhen, in una sorta di rivincita sulla vita. Ognuno di noi prova, in fondo, a diventare immortale o almeno lo spera. Con le parole alcuni ci riescono. Il mio augurio è che anche Xu Lizh lo diventi.


Il foglio davanti ai miei occhi si ingiallisce

Con una penna di ferro lo incido di nero tremulo

È il lessico dell’operaio

Fabbrica, catena di montaggio, altoparlante, cartellino, straordinari, salario…

Sono stato addestrato

Non so urlare né ribellarmi

Non so denunciare, né recriminare

Solo sopportare la stanchezza in silenzio

Quando sono entrato qui dentro

Volevo solo una grigia busta paga il dieci di ogni mese

Che mi regalasse una consolazione tardiva

Per questo dovevo smussare i miei angoli e moderare le mie parole

Rifiutare permessi, malattie o ferie

Rifiutare di arrivare in ritardo o di andare via prima

In piedi in catena di montaggio come [fossi fatto di] ferro

Le due mani [che si muovono] come [fossero] ali

Quanti giorni? Quante notti?

È stato così che ho cominciato a dormire in piedi

Xu Lizhi, 20 agosto 2011



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