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domenica 24 febbraio 2013

1621. I narcotrafficanti tra musica e trucchi



La fantasia dei narcotrafficanti è a dir poco sfrenata, perchè le sostanze vengono nascoste ovunque: un cesto africano costruito con corde colorate attorno a un budino di eroina, suppellettili sudamericane con inserti a base di cocaina, scomparti segreti stile doppiofondo nelle valigie. E poi coca all’interno delle grucce per abiti, o dietro le tele di quadri etnici, o ancora sciolta nelle bottiglie di vino o rhum. Fino a recuperare droga chimicamente rielaborata al punto da diventare materia stessa di produzione, come resina per bagagli o metallo per pentole. Infinita la serie di cinture, pantaloni, scarpe, pancere, gambali usati per nascondere sul corpo le sostanze. Il top sono gli alimenti: finti snack, tisane, noci con gheriglio di coca, patate con involtino a sorpresa. E poi ci sono gli «ovulatori», i classici vettori che ingeriscono ovuli in gomma contenenti polvere o gel di cocaina.
Mentre la fantasia galoppa, i cartelli messicani fanno breccia nella popolazione mescolando arditamente narcotraffico e fondamentalismo religioso, violenza estrema e unzione divina e si servono della musica per trasformare i loro capi in figure mitologiche, in novelli Robin Hood, in narcosanti da venerare attorno ad altari improvvisati. Ballate in loro onore vengono composte quotidianamente, chiamate narco-corridos e che somigliano musicalmente a delle polke paciose, ma con dei testi che sono pura dinamite. La più famosa l’ha scritta Beto Quintanilla che cantò per la gioia dei signori della droga la leggenda di Raquenel Villanueva, l’avvocata dei narcos: “Se apellida Villanueva y radica en Monterrey/ de profecion licenciada en valiente la mujer/ terror de los tribunales le apodan a Raquenel...”. Persino Santiago Meza, ‘El Pozolero’, quel mezzo indio tozzo che dissolse nell’acido più di trecento narcos dei cartelli rivali è stato celebrato con decine di ballate. La più gettonata? ‘El cocinero’ di Fidel Rueda. 

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