Che
gli immigrati facessero i lavori che molti italiani non amavano più fare era
cosa risaputa e malgrado i rigurgiti razzisti, una parte dell’economia italiana
beneficia della loro presenza. Ora la crisi impone un ripensamento generale
anche per gli italiani, su quale occupazione scegliere e tornano in auge
mestieri lasciati agli stranieri che venivano in Italia in cerca di fortuna. Un
segno di come cambiano le prospettive quando la crisi impone un ripensamento
del proprio stile di vita un modo, a mio vedere, positivo di ripensarsi in una
società che da troppo tempo vive al di sopra delle sue possibilità, dove l’apparire
è la cosa più importante e troppi ambiscono a fare i “capi”.
Il covo è un luogo immaginario, una locanda dove Jack propone ai suoi amici e ai suoi avventori la birra che produce. Un luogo di incontro e confronto davanti ad una buona birra artigianale (fino a qualche anno fa).
mercoledì 31 ottobre 2012
martedì 30 ottobre 2012
1376. Ennesimo psicodramma in salsa Monferino
Non
so quanto sia contento dell’esposizione mediatica che l’ex ingegnere Iveco
attrae in questi giorni. Prima Report, ora l’ultmo scontro in aula su
importanti decisioni che sembra prendere in assoluta autonomia. Movimenti che
non sono piaciuti a una parte della sua maggioranza che, con il voto di oggi,
sembra sfiduciarlo. Ennesima ipotesi dimissioni, ennesimo dietrofront?
1375. Come si chiude un ospedale
Gli
ospedali doppi costano troppo e bisogna razionalizzare, come piace tanto a
qualcuno. Non si tagliano i posti letto, semplicemente si spostano altrove,
magari in un’altra provincia. Non si chiudono gli ambulatori, si spostano in
strutture più idonee in modo, che nel giro di poco, quello che era un ospedale
saturo di attività si trasformi in un deserto di prestazioni sanitarie. Allora,
numeri alla mano, si potrà dire ancora con più forza che l’ospedale Valdese è
da chiudere perchè lavora troppo poco. C’è però il personale e anche le persone
che vivono in San Salvario che non sono proprio d’accordo e che hanno
protestato. Bravi!
1374. Alcuni numeri sul gioco d’azzardo
Per
avere una idea del fenomeno occorrono dei dati, che poi vanno letti in maniera
appropriata. In questi giorni è stata presentata una nuova indagine condotta
dal Centro Studi e Ricerche Sociologiche "Antonella Di Benedetto" di
Krls Network of Business Ethics per conto di Contribuenti.it Magazine
dell'Associazione Contribuenti Italiani presentata oggi ad Aosta.
"L'Italia
ha il primato, in Europa, per la maggior cifra giocata al tavoli da gioco, una
media quasi 2.320 euro a persona, che vengono sottratti all'economia reale,
minorenni inclusi, il cui numero è passato in soli 3 anni da 860 mila unità a
3,6 milioni - ha affermato Vittorio Carlomagno presidente di Contribuenti.it
Associazione Contribuenti Italiani. L'Erario si preoccupa più di fare cassa che
di sensibilizzare sulle tematiche di dipendenza da gioco".
Alla
luce di quanto emerso dall'indagine di Contribuenti.it Magazine, da gennaio ad
settembre dell'anno in corso sono aumentate del 20,8% le perdite dovute alla
dipendenza da giochi e scommesse. I dati esposti rivelano che a un confronto
tendenziale, ossia in relazione al medesimo periodo dello scorso anno, le
perdite sono aumentate di 998 milioni di euro e il tendenziale massimo, alla
fine del 2012, potrebbe raggiungere il 30,3%.
Il
gioco legalizzato coinvolge ben 33,2 milioni di persone, tra di esse 8,4 milioni
giocano con frequenza settimanale. Il giro di affari nel 2012 potrebbe superare
gli 85miliardi di euro all'anno, in forte crescita rispetto ai 79 miliardi di
euro del 2011, ai 61 del 2010 e agli appena 16 del 2003.
Anche
il coinvolgimento di giocatori di età inferiore ai diciotto anni ha subito nel
2012 un forte incremento pari al 9,2%, ed in soli 3 anni sono passati da 860
mila unità a 3,6 milioni: a questa fascia è attribuibile il 34% di tutte le
giocate.
I
giocatori più incalliti sono quelli residenti in Molise con il 57%, segue la
Campania con il 51% e dalla Sicilia 50,7%. In ultimo posto troviamo quelli del
Trentino Alto Adige con il 31,9%.
lunedì 29 ottobre 2012
1373. Le tasse sulla birra, in Inghilterra
Numeri
da crisi. In poco meno di 4 anni hanno chiuso ben 6mila pub e le vendite di
birra sono crollate del 15%. La colpa non è dei bevitori, ma del regime fiscale
introdotto nel 2008 che prevede ogni anno un aumento della singola pinta del
2%. Da un lustro il prezzo della birra cresce più velocemente dell'inflazione e
in meno di 4 anni le tasse sulla bevanda alcolica sono incrementate di oltre il
40%. Per interrompere questa spirale negativa l'associazione Camra (Campaigning
for real ale) ha organizzato una petizione online intitolata «Save your pint»
(salva la tua pinta), che chiede il congelamento degli aumenti delle tasse
sulla birra. In poco meno di sei mesi ben 100mila britannici hanno sottoscritto
il documento che giovedì prossimo sarà discusso in Parlamento.
Speriamo
che Monti & Co. non leggano questa notizia!
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