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mercoledì 22 giugno 2011

237. Il mondo dei “tossici” cambia


Una ricerca presentata in questi giorni a Milano, condotta da FederSerd (Federazione italiana operatori dei dipartimenti e servizi delle dipendenze) e Gfk Eurisko, racconta un aspetto poco noto e forse nuovo nel mondo della tossicodipendenza, perché in controtendenza rispetto a alcuni preconcetti e lo stigma sociale.
L'indagine, che ha coinvolto cento medici responsabili dei Ser.T. (servizi pubblici per le tossicodipendenze) e 378 persone dipendenti da eroina, mette in luce il profilo di un paziente che, nonostante l'esperienza della droga, mostra un buon inserimento nel contesto professionale perché circa il 50% degli intervistati lavora e un buon background culturale, dove quasi la metà ha conseguito un titolo di studio superiore. Inoltre è forte la capacità di crearsi una rete sociale e familiare, dove un terzo dei casi è sposato o convive, un quarto dei casi ha figli e quasi l'80% vive in famiglia o con amici.
Attraverso i servizi pubblici si accede anche alla terapia sostitutiva, il metadone, oltre a interventi educativi, di natura psicologica e medica. “Una realtà di 540 servizi distribuiti sul territorio con professionisti esperti, che nel 2010 hanno curato oltre 180.000 pazienti, ma che non ha risorse sufficienti per fronteggiare un impegno in continuo aumento, non ha ricambio generazionale e ha troppe differenze regionali” denuncia Fausto d’Egidio, medico internista e segretario esecutivo nazionale della Federazione. “Questo mentre nel 2010 le cure erogate hanno prodotto 34 milioni di giorni liberi da droga e un miliardo e 700 milioni di euro sottratti alla criminalità organizzata”.
Dalla ricerca emerge inoltre come non ci siamo differenze significative di età, si comincia a 12 anni come a 65, e nessuna differenza di censo o di cultura, tanto che alle porte dei seriviz pubblici bussano pensionati, operai, studenti, giovani manager rampanti e professionisti di vecchia data.
La decisione di iniziare il trattamento è una scelta fortemente personale: nella quasi totalità dei casi è stato il paziente a decidere di intraprendere un percorso di cura, spesso aiutato anche da familiari e amici. La decisione è nata dalla preoccupazione per il proprio stato di salute (87%), dal desiderio di normalità (53%) nonché da un senso di responsabilità (31%). Si tratta quindi di un paziente motivato e che vuole curarsi.

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