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giovedì 28 giugno 2012

1092. La lotta di classe dopo la lotta di classe


Scritto da Luciano Gallino, professore dell’Università di Torino, nel 2012 tratta il tema molto interessante e straordinariamente di attualità della scomparsa, oppure no, della lotta di classe. Il libro, sotto forma di intervista, dipana il dialogo tra la crisi finanziaria, l’Europa e la politica, per dire che la lotta di classe non è mai finita. Sono i ricchi che la stanno vincendo, riportando la classe operaia mondiale a livelli preindustriali. Salari bassi, alto turn-over, scarsa capacità professionale, lunghissimi orari di lavoro: questo è quello che cerca il capitale e che non cambierà finché paesi come Cina, India, Corea e Brasile non avranno un movimento sindacale o similare che cercherà di cambiare queste inaccettabili condizioni.

Uno dei compiti principali dell’economia, quando sia guidata dalla politica in base anche a criteri etici, dovrebbe essere quello di produrre sicurezza socio-economica. Negli Stati Uniti prima, e più di recente nell’Unione europea, si sono invece affermate una prassi e un’ideologia che vedono l’insicurezza socio-economica non soltanto come un aspetto accettabile della società e della vita produttiva, ma la ritengono addirittura un fattore di sviluppo.

Se fossero vivi la discussione e il conflitto politico democraticamente regolato tra la classe lavoratrice e una parte almeno della classe media da un lato, e la classe dirigente dall’altro, non avremmo assistito a quella cessione di sovranità che i governi dell’Unione europea e il governo americano hanno effettuato dinanzi ai grandi gruppi finanziari. Con l’appropriata assistenza della terna USA delle grandi agenzie di valutazione: Standard & Poor’s Rating Services, Moody’s Investors Services, Fitch Rating. A questo riguardo i politici europei, a cominciare dai governanti, dovrebbero rinfrescarsi la memoria. Le tre agenzie americane hanno in merito alla crisi un pessimo record. In primo luogo, vi hanno massicciamente contribuito assegnando la tripla A a decine di migliaia di titoli estremamente complessi su cui non hanno minimamente previsto la crisi: nel 2008 valutavano come solide e affidabili grandi banche pochi giorni prima che fallissero.  

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