L’anno
scorso a quest’ora io ero un uomo libero: fuori legge ma libero, avevo un nome
e una famiglia, possedevo una mente avida e inquieta e un corpo agile e sano.
Pensavo a molte lontanissime cose: al mio lavoro, alla fine della guerra, al
bene e al male, alla natura delle cose e alle leggi che governano l’agire
umano; e inoltre alle montagne, a cantare, all’amore, alla musica, alla poesia.
Avevo una enorme, radicata, sciocca fiducia nelle benevolenza del destino, e
uccidere e morire mi parevano cose estranee e letterarie. I miei giorni erano
lieti e tristi, ma tutti li rimpiangevo, tutti erano densi e positivi;
l’avvenire mi stava davanti come una grande ricchezza. Della mia vita di allora
non mi resta oggi che quanto basta per soffrire la fame e il freddo; non sono
più abbastanza vivo per sapermi sopprimere.
Se
parlassi meglio tedesco, potrei provare a spiegare tutto questo a Frau Mayer;
ma certo non capirebbe, o se fosse così intelligente e così buona da capire,
non potrebbe sostenere la mia vicinanza, e mi fuggirebbe, come si fugge il
contatto con un malato incurabile o con un condannato a morte. O forse mi
regalerebbe un buono per mezzo litro di zuppa civile.
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