Zygmunt
Bayman, sociologo scomparso di recente, si cimenta nel 2010 con
questo libro, dove si domanda cosa sia la felicità in un epoca
liquida come la nostra. Riferendosi anche al pensiero di Nietzsche e
Pascal, senza dimenticare le vicende contemporanee, non offre una
risposta invitando tutti a porsi obiettivi impossibili da raggiungere
per trascorrere una vita intera nel raggiungerli.
“La
nostra vita è un'opera d'arte – che lo sappiamo o no, che ci
piaccia o no. Per viverla come esige l'arte della vita dobbiamo –
come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide
difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a
distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno
nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e
standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare
(almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che
abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo
tentare l'impossibile. E possiamo solo sperare – senza poterci
basare su previsioni affidabili e tanto meno certe – di riuscire
prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli
standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così
all'altezza della sfida.
L'incertezza
è l'habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di
sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire
all'incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito
presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per
questo che una felicità “autentica, adeguata e totale” sembra
rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte
che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo
di avvicinarci ad esso”
Nessun commento:
Posta un commento