L'articolo termina così:
"Nella mia carriera ho visto persone altamente infelici al lavoro, che
erano in costante conflitto con il team, e che nonostante questo non
venivano neanche sfiorate dall’idea di cambiare posto: mi sono chiesta
se un atteggiamento simile non derivasse dall’ottica tipicamente
italiana di identificare qualsiasi gruppo di cui ci si trova a far parte
come “famiglia”: “È molto probabile che la dinamica fosse proprio
quella: in questa prospettiva, pur di farte di un gruppo, si
ricostruisce sempre la famiglia anche se la si disprezza, e ci si
costringe al proprio interno ad ogni costo: questo è un errore assoluto.
Il team non è una famiglia, ma opera per
ultimare progetti lavorativi. Se di conseguenza un team funziona come
una famiglia, allora è disfunzionale, per il semplice fatto che in
famiglia invece si sta per amore.
Lavorare per voler bene e farsi voler bene è quindi una contraddizione, e non può funzionare. Anche qui parliamo di intelligenza emotiva,
necessaria per l’interazione sul luogo di lavoro: in ambito
professionale non si può dare per ricevere, ma si deve dare solo per
dare il giusto, che viene richiesto dal progetto e dal proprio ruolo”.
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