Il
filosofo Byung-Chul Han pubblica nel 2012 questo interessante saggio
sulla società moderna, dove individua come patologie la depressione,
la sindrome da deficit di attenzione o iperattività, il disturbo
borderline di personalità e la sindrome di burnout, derivanti da un
eccesso di positività.
Esiste
però una stanchezza da opporre a tutto ciò, che ci permette di
abbandonarci e che risveglia in noi una particolare capacità di
guardare. Si tratta di accedere a un’attenzione completamente
diversa, a forme prolungate e lente che si sottraggono alla tipica
iperattenzione breve e veloce della nostra società. Per questo la
stanchezza profonda è disarmante e nel lento sguardo di chi è
stanco sorge incantata la risolutezza della quiete.
Handke
contrappone alla stanchezza che non ha parole, non ha vista, che
divide, una stanchezza che si esprime, che vede e riconcilia. La
stanchezza come “plus del minus di Io” dischiude un tra,
allentando le parentesi dell'io. Non solo vedo l'Altro, ma io sono
anche l'Altro e “al tempo stesso l'Altro è me”. Il tra è uno
spazio delle cortesia come in-differenza, in cui “niente e nessuno
domina e è anche solo predominante”. Nel divenir meno dell'io la
forza di gravità dell'essere si sposta dall'io al mondo. Mentre la
stanchezza dell'io come stanchezza solitaria è priva di mondo, nega
il mondo, questa è una “stanchezza fiduciosa del mondo”.
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