Il
romanzo descrive la crisi di un intellettuale, una crisi che diventa
vera e propria malattia, che penetra nel corpo e lo tormenta, gli
impedisce di digerire il cibo, così come per il
protagonista/narratore è impossibile ormai "digerire" le
consuetudini di vita da intellettuale di sinistra, la notorietà che
lo rende personaggio pubblico, le apparizioni televisive, una
professionalità di cui ha smarrito il senso e mille altre maschere
che ormai sente necessario "vomitare", così come ogni
mattina avviene per il cibo mangiato la sera precedente.
Antonio
Lanteri, giovane fondatore e direttore del più importante quotidiano
della sinistra, decide di lasciare, per un periodo indeterminato, la
realtà metropolitana per rifugiarsi nella casa parentale in
Valmasca. Con l'aiuto di qualche flashback, la storia si snoda
tramite un monologo caotico. Antonio parla con le rupi, con la
moglie, con il cane dei suoi, con la giornalista che gli dà la
caccia perché vede in lui "il declino della sinistra", e
parla di tutto: della sinistra, dei funghi, del padre micologo, dello
zio comunista che si è rovinato facendo gestire le aziende ai
contadini, di Milano, del giornalismo, della gioventù negli anni
'70. Un libro autobiografico, o almeno molto autobiografico, che ogni
tanto si avvita su pensieri che fai fatica a seguire.
Nessun commento:
Posta un commento