Umberto
Galimberti lo pubblica nel 2007, con il sottotitolo: il nichilismo e
i giovani. L'autore indaga sul mondo giovanile, chiedendosi cosa si
può ancora fare per questa generazione, per aiutarla ad uscire
dall'epoca delle passioni tristi. Parla di scuola, famiglia, tempo
libero, droga, musica, violenza e suicidio. Dove gli spazi sono
vissuti dai giovani, ma non sempre abitati e dove gli adulti hanno
abdicato al loro ruolo di guide, anche loro fin troppo disorientati
dalla modernità.
È
come se lo sguardo senile della cultura occidentale non avesse più
gli occhi per la condizione giovanile che potrebbe portare un
rinnovamento, e perciò la lascia ai margini del proprio incedere,
parcheggiata in spazi vuoti e privi di prospettive, senza farsi
sfiorare dal dubbio che forse il sintomo della fine di una civiltà
non è da addebitare tanto all'inarrestabilità dei processi
migratori o ai gesti disperati dei terroristi, quanto piuttosto al
non aver dato senso e identità e quindi aver sprecato le proprie
giovani generazioni, la massima forza biologica e ideativa di cui una
società dispone.
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