Quando
ero un ragazzino, forse condizionato dai telefilm americani, sognavo di fare il
freelance, il battitore libero che lavorativamente parlando avrebbe potuto
scegliere di volta in volta il lavoro più interessante e gratificante,
svolgerlo portandolo a termine e godendone dei relativi frutti, non solo
economici. Non sono ormai più un ragazzino e malgrado la mia professione mi
permetta una certa mobilità, credo ormai di essere giunto al capolinea dei cambiamenti
per cui se non metto radici in questo sconquassato momento storico, credo che
lo tsunami economico-finanziario-politico italiano mi porterà sotto la soglia
minima di sopravvivenza. Questo perché, da inguaribile romantico ho scelto la
professione che più si avvicinava alle mie personali inclinazioni, ma anche
perché non ho mai creduto fino in fondo di dovermi fermare in un posto di
lavoro. Ho un curriculum ricco di esperienze anche importanti, ma non ho la
solidità di una posizione guadagnata in anni di trincea, dove si ingoiano rospi
grossi come meloni ma si ha comunque un posto di lavoro. “Meglio il freelance
che inizia un lavoro e quando sente di aver preso e dato tutto si orienta verso
un altro progetto” pensavo, ma questo pensiero accompagna più i miei incubi che
i miei sogni oggi, così la realtà liquida del caro Bauman mi potrebbe soffocare
e non so se riuscirò nuovamente a nuotare verso una nuova isola che non c’è.
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