giovedì 15 settembre 2011

322. Da grande volevo fare il freelance


Quando ero un ragazzino, forse condizionato dai telefilm americani, sognavo di fare il freelance, il battitore libero che lavorativamente parlando avrebbe potuto scegliere di volta in volta il lavoro più interessante e gratificante, svolgerlo portandolo a termine e godendone dei relativi frutti, non solo economici. Non sono ormai più un ragazzino e malgrado la mia professione mi permetta una certa mobilità, credo ormai di essere giunto al capolinea dei cambiamenti per cui se non metto radici in questo sconquassato momento storico, credo che lo tsunami economico-finanziario-politico italiano mi porterà sotto la soglia minima di sopravvivenza. Questo perché, da inguaribile romantico ho scelto la professione che più si avvicinava alle mie personali inclinazioni, ma anche perché non ho mai creduto fino in fondo di dovermi fermare in un posto di lavoro. Ho un curriculum ricco di esperienze anche importanti, ma non ho la solidità di una posizione guadagnata in anni di trincea, dove si ingoiano rospi grossi come meloni ma si ha comunque un posto di lavoro. “Meglio il freelance che inizia un lavoro e quando sente di aver preso e dato tutto si orienta verso un altro progetto” pensavo, ma questo pensiero accompagna più i miei incubi che i miei sogni oggi, così la realtà liquida del caro Bauman mi potrebbe soffocare e non so se riuscirò nuovamente a nuotare verso una nuova isola che non c’è.

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