giovedì 15 settembre 2016

3806. Seconda recensione di Azzardopatia. Smettere di giocare d'azzardo


Pubblicata all'interno de La scommessa, newsletter del Gruppo Azzardo Ticino – Prevenzione.
L'interessante sito qui.
Un grazie infinito al Dottor Carlevaro per il sostegno in questi anni.

Mi piacciono gli inventori di parole. Specialmente quando queste mancano dolorosamente. In francese non lo si può fare. Se costruisci una parola, magari utilissima, che però non si trova nel “Larousse”, ti dicono che “ce n’est pas français”, e fanno finta di non capirti. In italiano non è così, anche perché poi la nostra lingua non è molto precisa. Ci si lamenta non a torto del termine “ludopatia”, ma un altro termine non esiste. Lo stesso vale per “nipote”, che impropriamente si usa sia per il nipote di zio, sia poi per l’abbiatico, e persino per la parola “coscienza”, che traduce sia la parola tedesca “Bewusstsein”, ossia la “consapevolezza”, sia la parola “Gewissen” che indica la “coscienza morale”. Forse anche per questo, da qualche anno, la coscienza morale come strumento d’azione appare un po’ in declino.
“Azzardopatia”. Un termine da utilizzare e da diffondere. E un libro da leggere. Un libro per giocatori, per familiari e per terapeuti. Quest’ultima indicazione non mi pare data esplicitamente, ma la costruzione del libro la evidenzia. È un libro a suo modo enciclopedico. E molto pratico. “Enciclopedico” perché vi trovate tutto quello che è importante da sapere sul gioco d’azzardo e sulla azzardopatia (non sono la stessa cosa). Chiaro, preciso, senza fronzoli. Ma non schematico. Propone anche molti esempi, e descrive una serie di strumenti di diagnosi e di presa in carico, in un utile stile cognitivo. Non so quanti lettori giocatori faranno tutti gli esercizi (sono schede, questionari, inviti alla riflessione: ma l’autore propone anche una chiave che permette di utilizzarli anche come valutazione). Di certo faranno la felicità del lettore psicologo o psichiatra che desidera affinare le sue conoscenze: non solo il “sapere”, ma anche il “saper-fare”. Perché anche l’azzardopatia ha la sua “logica”, biologica, psicologica, relazionale, sociale, che bisogna conoscere e individuare a fondo se si vuole essere efficaci come diagnosti e terapeuti. Altrimenti si brancola nel buio.
La costruzione del libro propone dapprima una introduzione, in cui si discute (a proposito) del perché è difficile cambiare comportamenti acquisiti, quand’anche fossero dannosi. Seguono quattro strade. La prima tratta degli errori cognitivi riguardanti quel fenomeno mal capito che sono gli avvenimenti casuali. E il fatto che in campo ci siano anche veri e propri condizionamenti. Un tema importante, che permette ai familiari di rendersi conto che si tratta davvero di una malattia simile alle dipendenze. Fornisce anche utili informazioni sull’organizzazione del gioco d’azzardo in Italia.
Il secondo percorso tratta della difficoltà di gestire il denaro, un’altra delle problematiche dei giocatori, proponendo strumenti in parte utili, in parte necessari. Con accenni all’usura e alla mafia.
Il terzo percorso tratta delle relazioni familiari. Ma anche come gestire le proprie emozioni (vergogna, colpa), e dove però ci vuole anche un occhio attento alle differenze (i minorenni, per esempio).
Il quarto percorso tratta di tempo libero e di tempo di lavoro, ossia del fatto che specialmente in Italia è difficile non incontrare una slot machine nei vari bar. Bisogna sapere che cosa fare.
Sono quattro percorsi molto variati, con esempi, riflessioni, riferimenti per giocatori e per familiari, ben calibrati. Percorsi che poi in pratica si incastrano l’uno nell’altro.
Seguono alcuni capitoli specifici: sulle difficoltà dell’astinenza (la brama del gioco), su come gestire le ricadute, e su come porsi degli obiettivi raggiungibili.
La realtà è che, per molte persone, l’unico “gioco responsabile” è il non-gioco. Anche perché, a mio parere, ci sono mille cose al mondo più interessanti con cui occupare il tempo, che non una serie casuale di eventi, nella quale non esistono regole.
E leggete anche l’introduzione di Daniela Capitanucci, che offre riflessioni ben fondate, in un sano spirito critico.
Tazio Carlevaro

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