Ho trovato
questa interessante recensione di Maria Elena Capitanio qui.
La copio e
la incollo. Buona lettura
Dipendenza
da gioco: guarire si può
«Giocare
d'azzardo può creare dipendenza». Così esordisce Fabio Pellerano,
educatore professionale presso il Servizio per le Dipendenze della
Sanità pubblica di Torino, nel suo libro «Azzardopatia»,
pubblicato da Edizioni Amrita nel 2015. Il gioco in sé, che si
tratti di slot-machine, poker, Gratta e Vinci o scommesse su corse di
cavalli, quando diventa un'abitudine quotidiana, «non rappresenta
dunque un vizio, ma una vera e propria patologia, che tuttavia può
essere curata».
Pellerano
ha raccolto una serie di percorsi per raggiungere la guarigione e ha
individuato le modalità di gestione delle ricadute - molto frequenti
in questi casi - nonché i consigli per i familiari del giocatore
d'azzardo patologico, che rappresentano una parte fondamentale per
guarire dalla dipendenza. Difatti, «alle difficoltà che normalmente
incontra una persona che decide di abbandonare il gioco d'azzardo va
ad aggiungersi poi la sfiducia da parte di chi vede il giocatore come
un individuo che promette e si dispera, ma che in fondo non cambierà
mai».
Leggendo
sui giornali alcune testimonianze dirette, si nota quanto le persone
affette dalla problematica - che in Italia è una vera e propria
piaga sociale - diano addosso a loro stesse per i danni inflitti alla
cerchia dei propri affetti, sia ai parenti che agli amici,
ostinandosi a non accettare la realtà incancellabile del proprio
passato.
In tal
senso, «ogni ex giocatore farebbe bene a riorganizzare i propri
pensieri e atteggiamenti in modo tale da potersi difendere da un
possibile riaccendersi dell'impulso al gioco». Viene in mente un
parallelismo con quello che succede in amore: «Se dopo tanto tempo
incontrate in strada la vostra vecchia fiamma, probabilmente vi farà
ancora effetto ricordare i bei momenti vissuti insieme, ma se siete
preparati, dopo un primo turbamento riprenderete tranquillamente il
vostro cammino, senza far nulla di cui poi potreste pentirvi».
La parola
stessa "azzardo", che deriva dall'arabo az-zajr (dado), ha
una radice lontanissima: «Parliamo quindi di un comportamento
antico, che si perde nella memoria dei popoli. A metà del XIX secolo
anche la letteratura prese a occuparsi del fenomeno, descrivendo
soprattutto la frenesia e i danni che portava». Nel nostro Paese,
come spiega Pellerano, mentre un tempo c'era solo il Totocalcio, dal
'92 sono stati introdotti molti nuovi giochi e questo in qualche modo
sembra aver agevolato l'accentuazione della problematica sotto un
profilo psicopatologico.
Fatte
queste premesse, sorge un quesito: ludopatici si nasce o si diventa?
«Alcune ricerche hanno portato alla scoperta che esistono delle basi
biologiche che predispongono determinate persone a giocare d'azzardo:
si tratterebbe di uomini e donne con una certa predisposizione al
rischio e alla ricerca di sensazioni forti». Tuttavia, a
"scommettere" soldi s'impara anche, «perché fin da
piccoli, nell'ambiente familiare oppure durante lo sviluppo e in età
adulta, si può essere esposti al gioco d'azzardo e trovarlo
assolutamente normale».
Il tema è
tra i più delicati e si devono evitare, come sempre,
generalizzazioni, tuttavia sui metodi di risoluzione Pellerano è
piuttosto perentorio: «Occorre prendere il coraggio a quattro mani e
dirsi che non è più opportuno continuare a giocare. Credere che si
giocherà sempre meno e che un giorno ci si sveglierà non avendo più
voglia di giocare è un pensiero non realistico». Insomma, smettere
di fumare, in confronto, sembra un gioco da ragazzi.
1 commento:
é solo l'inizio! Bravo.
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