Elena
32 anni, precaria, rimane a casa dopo la scadenza del contratto. Passa la sua
giornata su internet a cercare lavoro o a farsi venire in mente un modo per
guadagnare qualcosa. Tre, quattro ore al giorno. Trascorrono le settimane e il
suo tempo di permanenza in rete aumenta. Il mondo virtuale diventa l’unico
mondo possibile. Elena perde il contatto con la realtà. Si annoia ed è
depressa. Invece di uscire a fare una passeggiata, inizia a guardare un sito di
e-commerce. La sua passione sono le scarpe. Ne compra un paio. «Mi devo tirare
su», pensa. «E se poi ho un colloquio di lavoro mi possono tornare utili». Sul
sito trova altri banner, su ogni pagina che visita trova ads sull’ultimo
modello di Jimmy Choo in super sconto o sulle nuove svendite di scarpe griffate.
Elena non se ne rende conto ma in quindici giorni acquista 20 paia di scarpe
che le arriveranno a casa un mese dopo. Intanto diventa sempre più aggressiva,
si isola e quando il suo compagno preoccupato di fronte all’estratto conto
della carta di credito le chiede una spiegazione lei continua a ripetere: «Non
ho sprecato soldi. Sono tutte delle occasioni». Di fronte ai 1.500 euro spesi
nega di essersi fatta prendere la mano. Né Elena né il suo compagno sanno che
lei è vittima di una campagna di marketing aggressiva. Un trucco che in questo
caso fa leva su una persona già fragile e con problemi economici. E il tutto
sarebbe iniziato anche se Elena non avesse comprato il primo paio di scarpe.
Perché queste strategie sono per lo più rivolte agli indecisi, quelli che
magari rientrano sul sito più volte prima di perfezionare l’acquisto.
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