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giovedì 15 marzo 2012

722. Fast Food Nation


Pubblicato in Italia nel 2002, è stato scritto dal giornalista americano, dopo un paio di anni trascorsi a raccogliere interviste e vedere di persona quello che negli USA è l’impero dei fast food. Una delle principali aziende americane e uno dei simboli che ora campeggiano praticamente ovunque nel mondo. Viene raccontata come nasce questo nuovo modo di consumare cibo, le strategie di marketing, finanziarie e di lobbismo che stanno dietro a questo importante settore economico, passando per l’analisi degli ingredienti base: patatine, hamburger e persone.
Alcune cose, tra le molte, che mi hanno colpito leggendo il libro è che spesso i fast-food sono rapinati da dipendenti o da ex-dipendenti, oppure che esistono aziende specializzate nella costruzione chimica di aromi, sapori artificiali che finiscono per dare sapore a cibo spesso insapore. Centinai di persone, spesso analfabeti e stranieri, sono morte o sono state mutilate dai macchinari presenti nei macelli americani, che nel 78,6% della carne per hamburger sono presenti microbi diffusi principalmente attraverso il materiale fecale e che esistono anche grandi aziende che riescono a fare dei buoni hamburger con buone carni e che pagano degnamente i lavoratori. L’autore scrive che “c’è una semplice spiegazione del perché mangiare un hamburger oggi può mandarvi all’ospedale: nella carne c’è merda”.
Il libro termina così: “spalancate la porta a vetri, sentite il soffio dell’aria condizionata, entrate, mettetevi in fila e gaurdatevi intorno, guardate i ragazzini che lavorano in cucina, i clienti seduti ai tavoli, le pubblicità dell’ultimo giocattolo, studiate le fotografie illuminate lassù, dietro al bancone, pensate a da dove arriva il cibo, a come e dove è stato fatto, a cosa viene messo in moto da ogni singolo acquisto di fast food, a come l’effetto si propaga, vicino e lontano: pensateci. Poi ordinate. Oppure fare dietrofront e uscite. Non è mai troppo tardi. Persino in questa nazione fast food, potet ancora fare come vi pare”.

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