Primo
Levi pubblica in Italia nel 1975, ma la mia edizione è del 2008, questa
raccolta di storie, in somma parte autobiografiche, legate assieme da
alcuni elementi chimici che creano un file rouge narrativo per niente
scontato e a tratti affascinante. Primo Levi cerca e trova, fin dagli
inizi degli studi di chimica, un qualcosa che avesse un significato
sempre, nel lavoro come nella vita. Non una facile ricerca, quella di
conoscere e carpire gli schemi che si celano dietro gli elementi, ma
una volta svelati, c'era la certezza che quel tale elemento avrebbe
sempre reagito nella stessa maniera. Molto bella l'intervista di
Philip Roth del1986 in appendice.
“Sulle
dispense stava scritto un dettaglio che alla prima lettura mi era
sfuggito, e cioè che il così tenero e delicato zinco, così
arrendevole davanti agli acidi, che se ne fanno un solo boccone, si
comporta invece in modo assai diverso quando è molto puro: allora
resiste ostinatamente all'attacco. Se ne possono trarre due
conseguenze filosofiche tra loro contrastanti: l'elogio della
purezza, che protegge dal male come un usbergo; l'elogio
dell'impurezza, che dà adito ai mutamenti, cioè alla vita. Scartai
la prima, disgustosamente moralistica, e mi attardai a considerare la
seconda, che mi era più congeniale. Perché la ruota giri, perché
la vita viva, ci vogliono le impurezze, e le impurezze delle
impurezze: anche nel terreno, come è noto, se ha da essere fertile.
Ci vuole il dissenso, il diverso, il grano di sale e di senape: il
fascismo non li vuole, li vieta, e per questo tu non sei fascista;
vuole tutti uguali e tu non sei uguale. Ma neppure la virtù
immacolata esiste, o se esiste è detestabile”.
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