In
questo lungo articolo viene ampiamente riproposto l'intervento del
vice direttore per l’area Monopoli dell'Adm, Alessandro Aronica,
nell’ambito del convegno 'Economie di gioco' all’Università
degli studi di Salerno. Leggetelo con calma, perché è lungo e dice
parecchie cose interessanti. Mi soffermerò solo su alcune
affermazioni, anche se l'analisi storica e le relative valutazioni
secondo me andrebbero approfondite perché mi suonano proprio male.
Il
vice direttore riprende un classico cavallo di battaglia; il volume
di gioco non sono i soldi spesi dai giocatori, per cui l'industria
dell'azzardo non è così grande come i giornali, con toni spesso
drammatici, la descrivono.
“Ogni
anno, la filiera industriale del gioco fattura in Italia non 85
miliardi ma, sotto un profilo strettamente economico e al di là
delle mutevoli rappresentazioni contabili, una cifra che oscilla tra
gli 8 e i 9 miliardi di euro, ovvero 10 volte di meno; una somma
analoga viene versata allo Stato a titolo di imposte indirette sul
gioco. La somma di questi due valori (ciò che va allo Stato e ciò
che va all’industria) è pressoché costante ormai dal 2009, si
aggira sui 17 miliardi annui e corrisponde a ciò che le famiglie
spendono effettivamente. Quindi, quando si dice che l’industria
fattura circa 85 miliardi e che questa è la spesa dei giocatori si
compie una doppia mistificazione: i ricavi (non i profitti, per
determinare i quali, occorrerà detrarre anche i costi del personale
e gli altri costi aziendali) dell’industria sono pari a un decimo
di quanto si racconta e la spesa delle famiglie è pari a un quinto”.
A
parte che sono 88 i miliardi nel 2015, è vera la cifra riferita
alle concessionarie, che incassano diciamo 9 miliardi, dai quali
devono detrarre le loro spese, ecc. ecc. Credo che comunque non
facciano la fame, visto che sono tuttora sul mercato e sono decisi a
rimanerci. Non mi risulta infine che siano un ente caritatevole o
benefico, per cui avranno il loro bel tornaconto per restare nel
business del gioco d'azzardo.
Una
cosa che ritengo importante è sottolineare che comunque 88 miliardi
finiscono lì dentro. Da dove arriva questa montagna di denaro e
soprattutto a quali consumi, o risparmi, venga sottratta è una
questione che a qualcuno poco interessa, ma invece andrebbe presa
molto seriamente in considerazione, anche perché la stragrande
maggioranza delle Concessionarie non ha la sede fiscale in Italia,
per cui pagano le tasse chissà dove. Trovo comunque abbastanza
triste parlare di “spesa” delle famiglie, perché quando faccio
la “spesa” perlomeno mi porto qualcosa a casa. Prospettare una
vincita che spesso non capita, io la chiamerei illusione diffusa.
Speriamo che presto gli italiani si sveglino dal sogno, o
dall'incubo, ma ci conto poco e lo sanno benissimo i signori che
gestiscono il gioco d'azzardo legale o illegale che sia.
L'articolo
continua con la seguente affermazione:
“Negli
anni duemila hanno progressivamente preso il sopravvento giochi ad
alto tasso di vincita (come gli apparecchi da divertimento e il
gratta e vinci che assicurano tassi del 70 per cento o più o le Vlt
che superano l’85 percento, o, ancora, i giochi online che arrivano
ad assicurare il 98 percento): in media circa l’80 per cento di ciò
che viene puntato ritorna sotto forma di vincite (non ad ogni singolo
giocatore ovviamente ma, in generale, al settore delle famiglie)”.
Nel
gratta e vinci “turista per caso” da 5 euro sono stati stampati
100.800.000 e sono vincenti 26.939.500 (fonte AAMS), in pratica 1
biglietto ogni 3,74 è vincente. A me sembra una percentuale del
25percento, fatti i conti male, non certo del 70. Inoltre dovrebbero
anche essere sottratti anche quei biglietti in cui si vincono 5 euro
(13.440.000), cioè il costo, perché a casa mia quella non si chiama
vincita, al massimo pareggio! In pratica si ha un
po' più
del
12percento di probabilità di vincere qualcosa. Non
essendo un matematico attendo con impazienza un controllo di questi
calcoli.
Un
'altra parte interessante è quando dice:
“ha,
quindi, cessato di essere squisitamente etico e non può riguadagnare
le sfere culturale, educativa e politica se non si libera della
questione sanitaria. Vorrei sottolineare questo aspetto aggiungendo
che non è più sufficiente neanche sostenere che il gioco legale è
il male minore rispetto a quello illegale. Il circuito legale deve
diventare sempre di più un cordone sanitario intorno ai soggetti
vulnerabili”.
Cercando
sul dizionario ho trovato questa definizione di cordone sanitario:
misura
di carattere profilattico e di grado estremo consistente
nell’isolamento completo e forzoso di una comunità o di un
territorio colpiti da malattie infettive a carattere epidemico. Era
usata specialmente in passato. I mezzi moderni di lotta contro le
epidemie (denuncia, isolamento, disinfezione, vaccinazione) hanno
reso superfluo questo mezzo drastico e lesivo della libertà
personale e dannoso per ogni attività.
Ma
se il problema del gioco d'azzardo patologico riguarda un numero
imprecisato, per cui basso, di individui, perché viene usato un
termine che si collega direttamente a epidemie tipo Ebola?
Alla
domanda che pone: Ma oggi a quale industria si consentirebbe di
inquinare per il solo fatto di rappresentare una importante realtà
economica e occupazionale? qualcuno gli ricordi l'ILVA!
Ci
sarebbe molto altro da dire, ma mi fermo qui.
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