martedì 3 febbraio 2015

Cronache dei due mondi


Si tratta di un inizio, cosa ne pensate?
Ah buona lettura!

Aver scorto da lontano la sottile linea di fumo salire dolcemente in cielo lo rincuorò. La strada attraversava rigogliosi boschi di rovere, con il sottobosco ricco di fiorellini di cui sentiva un leggero dolciastro profumo. Un fitto canto di uccelli risuonava gradevolmente, mentre il cielo azzurro, che stava avvampando di un rosso intenso, rendevano aulico quel luogo. Quel paesaggio collinare sarebbe stato anche gradevole, ma la giornata stava volgendo al termine, era parecchio stanco e viaggiare da solo lo metteva ulteriormente a rischio. Non era il percorso più sicuro da attraversare perchè da qualche anno erano aumentati gli episodi di aggressioni e rapine, ma era ancora il più veloce per arrivare a Wolkenstad. La sua scorta era stata però massacrata qualche giorno prima, di notte, durante uno dei tanti attacchi a danno dei viandanti. Aveva deciso di continuare da solo e di non tornare indietro a Haus der Sonne, per quanto pensare che correre il rischio lo avrebbe ripagato non era stata affatto una buona idea. Si era salvato a malapena, uscendo dallo scontro solo con una leggera ferita al braccio sinistro, ma i suoi accompagnatori erano morti. Gli erano stati affidati direttamente dal Principe Rupert ed avevano assolto fino in fondo il loro compito, eppure per quanto quasi sconosciuti non era stato felice di seppellire i loro corpi nel cuore del bosco senza una degna sepoltura. Non conosceva la loro religione, per cui aveva provveduto a cerimoniare secondo il suo credo, sperando che le loro anime avessero comunque trovato la pace che meritavano.

Accompagnato da pensieri di morte arrivò infine in vista della locanda. Ad attenderlo c'era un inserviente dal volto butterato e dalla classica camicia rossa, che abbozzò un sorriso. Il volto serio di Pargat però gli fece subito cambiare idea, così fece un mezzo inchino e prese le redini senza dire una parola.

- Biada della migliore qualità – disse Pargat scendendo da cavallo.

L'inserviente prese la strada verso le stalle, non curandosi del cliente, che lo fissava con aria pensierosa.

L'edificio era costruito su due piani in pietra di Mannering, con una grossa porta in legno e ampie finestre con grate. L'insegna, un mezzo sole in ferro battuto, dondolava un po'. Dal suo interno proveniva un leggero vociare e un buon profumo di verdure arrostite. Quell'odore lo mise di buon umore ed entrò nella locanda pregustando una buona cena. C'erano una decina di tavoli, ma solo quattro erano occupati, mentre tutte le pareti erano rivestite di scure perline di legno. Se non fosse stato per gli enormi candelabri si sarebbe fatto molto fatica a vedere qualcosa, per quanto la luce del crepuscolo entrasse ancora un po' dalla ampie finestre. Dietro il lungo bancone una donna ed un uomo armeggiavano con vassoi e piatti. Un enorma camino riscaldava la stanza e cuoceva le verdure.

- Cosa posso fare per lei? - chiese il locandiere lasciando perdere i piatti che stava accatastando. Aveva capelli corti neri, due occhi azzurri, un volto ovale e indossava un grembuile alquanto zozzo.

- Vorrei una camera per la notte e mangiare qualcosa – rispose Pargat notando il sorriso stretto del locandiere. Si domandava se fosse preoccupato per qualcosa oppure se fosse sempre così.

- Potete avere la camera che più desiderate e anche per la cena non ci sono problemi. Come vede questa regione è abbastanza generosa con noi – disse indicando la grande quantità di verdura appoggiata a cuocere.

- Accomodatevi a quel tavolo e appena pronto vi porteremo il cibo – disse intromettendosi la donna dietro il bancone.

- Avevamo pattuito che il prossimo cliente l'avrei accolto io – commentò l'uomo con voce stizzita alla donna.

- Ma lo sanno tutti Carl che non sei capace di gestire i clienti. Sei meglio alla cottura delle verdure – rispose cantinelando un po'. Aveva capelli biondi crespi, legati dietro da un gran fiocco, gli occhi azzurri e un vestito ampio color verde. Il grambiule era un po' meno zozzo dell'altro.

- Questo perché o faccio una cosa o faccio l'altra, ma avevamo deciso che avrei imparato. Mi sembra un ottimo cliente da cui iniziare – aggiunse scocciato l'uomo.

- Non lo ascolti – disse infine la donna a Pargat. - Fa così solo per fare impressione su quella brunetta che manco lo guarda – disse indicando una donna che serviva ai tavoli, che non aveva notato prima.

- Ma quanto sei pettegola! - rispose Carl lanciando una strofinaccio umido alla donna, che però schivò.

- Fratello, non sei bravo neanche a colpirmi. Lo diceva sempre la mamma che eri buono solo a cucinare – lo canzonò definitivamente quella che Pargat capì essere la sorella.

- Vado a controllare le verdure prima che l'ammazzi. Mi scusi signor come ha detto di chiamarsi? - chiese l'uomo ormai spazientito.

- Non l'ho detto. Mi chiamo Perset e vengo dalla contea di Neff. Sono in viaggio di affari – rispose decidendo di non rivelare nulla della sua vera identità.

- Benissimo signor Perset benvenuto alla Locanda del sole nascente. Io sono Andrè e la mia poco simpatica sorella è Chistine. Potete alloggiare nella stanza numero 3 e appena sarà pronto sarà mia cura portarle il cibo – disse allontandosi e facendo gesti osceni in direzione della sorella, che ricambiò allegramente.

Pargat non si aspettava di trovare un clima del genere nella locanda, ma quella leggerezza lo distraeva almeno un po' dai pensieri del viaggio. Si accomodò ad un tavolo e si guardò un po' intorno.

Un uomo e una donna discutevano tranquillamente di qualcosa che Pargat non riusciva però a capire. Parlavano a scatti, muovendo molto le mani. Avevano entrambi i capelli neri, ma l'uomo aveva una importante cicatrice sulla guancia destra. La donna aveva invece dei lineamenti fini con labbra sottili. Indossavano le vesti del sud, ampi cappotti blu e cappelli a tre punte. Si intravedevano delle armi, probabilmente delle spade, spuntare da sotto i vestiti, ma non capì se si trattasse di mercanti o avventurieri. Di certo avevano fatto molta strada per essere lì.

L'altro tavolo era occupato da un mercante delle terre rosse, facilmente riconoscibile dal turbante vermiglio. Una comoda palandrana giallina completava il suo abbigliamento basico. Mentre mangiava i suoi occhi guizzavano veloci tra i tavoli, come se fosse alla ricerca di qualcosa.

In un altro tavolo erano seduti quattro uomini con un armatura leggera di metalo luccicante. Le loro armi erano appoggiate a una sorta di rastrelliera posta dietro di loro. Uno aveva un mantello verde con grandi ricami dorati, mentre gli altri indossava solo una casacca verde. Al tavolo affianco due uomini grassocci, con le mani piene di anelli, sembravano rivolgere ai soldati parole di accordo. Probabilmente si trattava di alti funzionari con una scorta, diretti in città.

Venne interrotto da Andrè, che portava finalmente da mangiare.

- Ecco a lei la cena – disse cerimonioso. - Buon appetito – e se ne andò.

Pargat mangiò avidamente il misto di verdure arrosto, con un sugo di funghi e del buon pane di segale. Da bere gli avevano portato una birra molto luppolata, che gli ricordava quella che faceva lo zio ogni autunno.

Poco dopo il gruppo di uomini armati si alzò, seguendo al piano di sopra i due funzionari.

Ora c'era molto meno rumore nella stanza e poteva distinguere meglio i discorsi dei suoi vicini di tavolo.

Stavano discutendo su un incarico di protezione finito male. La donna accusava l'uomo di superficialità. L'uomo accusava la donna di non aver controllato prima il bosco. Quando si accorsero di essere ascoltati abbassarono il tono di voce, così Pargat non capì più i loro discorsi.

Si distrasse pensando all'indomani. Avrebbe dovuto cavalcare ancora per tutto il giorno di buona lena per raggiungere la città e raccogliere le informazioni necessarie per conoscere meglio l'Ordine della pietra nera.

L'aveva sentito nominare per la prima volta ad un processo intentato a una donna che aveva violato la legge veg. Aveva catturato e ucciso un cervo. Lo aveva poi cotto e mangiato. Tutto ciò andava contro la legge e andava punito. Durante il processo la donna si era detta adepta dell'Ordine, ma non aveva aggiunto altro. Alle domande insistenti di chiarimenti, si era chiusa in un rigido mutismo. Era stata infine condannata, ma quando era uscita dall'aula un sorriso beffardo aveva acceso il suo volto. Pargat era rimasto colpito da quel particolare e aveva chiesto al suo Signore di poter indagare sull'Ordine. Tra sussurri e parole spezzate, era riuscito a definire che nella città di Wolkenstadt avrebbe trovato delle buone informazioni.

Terminato di mangiare uscì e si diresse alla stalla, per controllare il suo cavallo. L'assonnato inserviente gli venne incontro e quando lo riconobbe tornò al suo giaciglio.

Il suo cavallo quando lo riconobbe nitrì un po', mettendo il muso oltre la porta. Pargat lo accarezzò con delicatezza. Vide che stava bene, la biada era fresca ed era stato strigliato bene. Mise poi le mani sopra le sue scapole ed entrò in contatto con lui. La fusione era una pratica che tutti gli esseri umani praticavano con gli animali. Si trattava di uno scambio di energia fondamentale per l'equilibrio delle razze. Per questo era stata realizzata la legge veg, per continuare a proteggere gli animali dall'eventualità che gli uomini iniziassero a cacciarli e mangiarli. Erano stati comunque rari i processi, ma negli ultimi anni qualcosa era cambiato e le forze dell'ordine faticavano a stare dietro a quei delitti, spesso consumati tra le mura domestiche. Era molto facile infatti far sparire tutte le prove.

Dopo la fusione si sentì meglio e anche il cavallo lo ricambiò dandogli una leccata alle mani. Rassicurato che tutto fosse a posto, tornò alla locanda, prese la chiave della stanza numero 3 e andò a dormire. Nel frattempo anche gli altri tavoli si erano svuotati.

Quando entrò nella stanza la trovò accogliente, pulita e senza fronzoli, proprio come preferiva. Si tolse la mantella color senape e andò verso il catino, per darsi una lavata al volto. Uno specchio rimandava l'immagine di un uomo sulla quarantina, dalla lunga capigliatura corvina. Due occhi azzurri e gli zigomi appena accennati completavano il suo volto. Era parecchio stanco e le ore tranquille passate alla locanda lo aveva ulteriormente fiaccato. Si tolse gli stivali, appoggiò lo spadino vicino al letto ed andò a dormire. Tenne con sé un pugnale.





Si svegliò di soprassalto, madito di sudore. Aveva sognato il Clan Esposito che lo minacciava con una rivoltella piazzata direttamente in bocca. Si guardò intorno e tutto era in ordine. Sophie aveva alzato la testa e fatto un mezzo miagolio, come a dire “ è solo un brutto sogno” poi si era dinuovo addormentata. Gli incubi lo perseguitavano un po' troppo spesso in quei mesi. Da parecchi anni si occupava della guerra alla mafia, ma si stava avvicinando il momento in cui il suo lavoro non sarebbe più servito. Ormai i maggior clan erano stati sterminati, le loro immense proprietà acquisite dagli Stati e chi era sopravvissuto viveva carcerato su sperdute isole controllato giorno e notte da droni.

Un nome però affiorò, mentre era in cucina che beveva un bicchiere di acqua viva: ordine della pietra nera.

Cercò nella memoria finché si ricordò di aver incontrato quel nome almeno un paio di volte, nei tanti documenti trovati in mano ai mafiosi. C'erano vaghi accenni a questo ordine, ma le indagini non avevano portato a nulla. Assomigliava più a un nome da gioco di ruolo fantasy che a qualche gruppo mafioso, oppure era scritto in codice, cosa alquanto probabile. Magari era il nome di chi controllava alcuni gruppi, ma non aveva alcuna prova e anche durante gli interrogatori quando aveva chiesto spiegazioni, era stato trattato in malo modo, come se si stesse perdendo del tempo. In pratica nessuno conosceva quell'ordine, eppure il nome era stato scritto da qualcuno.

Si segnò mentalmente che quella mattina avrebbe cercato meglio e andò a farsi una doccia, tanto ormai di dormire non aveva più voglia. 
In bagno lo specchio rimandava l'immagine di un uomo sulla quarantina, dai capelli neri cortissimi, due occhi azzurri e gli zigomi appena accennati.

Il sole su Torino non era ancora sorto in quel tiepido giorno di marzo.

Si vestì con un completo nero senza cravatta, indossò il cappello borsalino e uscì di casa per andare al bar a fare colazione.

- Sei qui presto – disse Alfredo quando entrò nel bar.

- Ho molto lavoro da fare oggi – rispose Giuliano che non amava l'invadenza di nessuno, figuriamo dei baristi.

- Il solito?

- Sì, preparami un buon cappuccino tiepido e senza schiuma. Le briosche sono già pronte?

- Appena sfornate – rispose Alfredo sorridendo e preparando il cappuccino.

Il bar sotto casa era un luogo che frequentava poco, solo per la colazione e per occasionali aperitivi. Non amava la vita mondana e poi spesso era in giro per il mondo a raccogliere prove per i processi contro le mafie.

Alcune volte si era domandato se vivere ancora lì, dopo tutte quelle persone catturate fosse ancora sicuro, ma non aveva mai visto volti sospetti e neanche ricevuto minacce, per cui si era convinto di non essere così interessante tanto da ucciderlo. Forse l'organizzazione per cui lavorava gli copriva le spalle anche in quella occasione, ma gli risultava difficile credere che con la loro potenza economica, le mafie non avevessero mai messo una taglia sulla sua testa.

Sapeva che alcuni suoi colleghi erano saltati in aria e che lo stesso Principe Floriant era stato minacciato e viveva sotto scorta, eppure lui sembrava esente da tutto ciò.

Mentre beveva il cappuccino guardò fuori il traffico aumentare e nugoli di ragazzini andare verso le vicine scuole. Quando finì di fare colazione, pagò e salutò con un cenno il barista, impegnato a fare altri caffè. Fuori c'era una luce particolarmente forte, per cui inforcò gli occhiali scuri e si diresse verso la moto parcheggiata lì vicino.

Salì, mise in moto e si diresse al suo ufficio, in mezzo alla collina torinese.

Era una strada molto piacevole da percorrere, sopratutto una volta lasciata la città e presa la strada collinare, ricca di curve in mezzo alle ville dei VIP. Giuliano amava andare piuttosto veloce in quella situazione e la sua BMW S1000RR teneva perfettamente la strada. Certo si correva il rischio di fare una brutta fine, ma finora era sempre arrivato in ufficio tutto intero.

Lasciò la moto nel parcheggio sotterraneo, infilò l'ascensore e una scanner oculare fece il suo dovere. Dopo qualche secondo una tavoletta uscì dalla parete, vi poggiò la mano e disse “Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare”, così l'ascensore iniziò a scendere.

Dopo pochi secondi le porte si spalancarono e Giulianoo venne accolto dal basso vociare dei colleghi. Salutò distrattamente ed entrò nel suo ufficio. Sulla porta c'era scritto: Responsabile ricerche internazionali.

- Trovami tutto quello che abbiamo sull'Ordine della Pietra nera – disse al computer e in pochi secondi sul monitor a parete apparvero tre file.

“Tutto qui” pensò Giuliano non proprio felice della scoperta.

Iniziò con aprire il primo, che riportava lo stralcio del libro “De secreta septem” e iniziò a leggere.

Nel 1099 il cavaliere templare Hubertus von Koch, di ritorno dalla prima Crociata, mentre attraversava la Mesopotamia vicino alla città di Nineveh, ebbe l'apparizione della Dea Isais, figlia di Isis e Set.

Ella gli ordinò di raggiungere il massiccio dell'Untersberg, in Germania, e di costruire ivi una dimora in attesa delle sua nuove apparizioni.

Koch, fedele all'impegno preso, eresse diverse costruzioni, la prima nella cittadina di Markt Schellenberg, a Berchtesgaden collegate da gallerie e persino un tempio dedicato ad Isais nella zona dell'Untersberg.

Koch, una volta in Germania, ebbe una seconda apparizione nel 1101 e, una terza, nel 1102, sempre nell'Untersberg. In questo periodo egli ricevette le cosiddette “Rivelazioni di Isais” "Die Isais Offenbarung", una serie di profezie concernenti il Sacro Graal. Grazie alle rivelazioni di Isais, Koch sarebbe entrato in possesso della pietra di colore nero-violetto, in parte quarzo ed ametista, la cui immane energia, scoperta ed utilizzata ad Atlantide, avrebbe permesso l'annullamento della forza di gravità e i viaggi transdimensionali.

Oltre allla pietra, con l'identico ordine di nascondere tutti i preziosi reperti nel massiccio dell'Untersberg, la dea consegnò a Koch lo specchio di Ishtar che dona la possibilità al possessore di scrutare le Altre Dimensioni e la Lancia di Odino che apreun varco tra questa e le Superiori Dimensioni.

Per difendere tali formidabili segreti, Koch avrebbe fondato l'Ordine de “Die Herren vom Schwarzen Stein”, “I Signori della Pietra Nera” e questo occulto ordine avrebbe avuto importanti ramificazioni in Germania, Austria, Nord Italia ed anche nella parte nord-orientale della Francia, in Inghilterra, Scozia e Irlanda, nel sud di Norvegia e Svezia, nonché centri in Medio Oriente e Caucaso, ed infine sull 'isola di Cipro.

Gli affiliati venivano scelti con grande oculatezza, indifferentemente di entrambi i sessi, dallo stesso Koch, in aperta violazione ai dettami previsti dall'Ordine Templare.

Dopo la fondazione i legami di Koch con i Templari sarebbero divenuti solo formali ed egli non avrebbe confessato ai suoi superiori il possesso della Pietra Nera.

Nell redarre questa breve cronaca si ignora se oggi l'Ordine è ancora in vita, oppure è stato cannibalizzato dai nuovi gruppi emergenti.

“In queste storie ci sono sempre di mezzo i Templari, il Graal e altre menate” pensò Giuliano che un po' conosceva la storia dell'ordine cavalleresco.

Rimase un po' in silenzio e poi aprì il secondo file.

Si trattava delle varie intercettazioni telefoniche, dove il nome compariva solo un paio di volte, in riferimento a non meglio precisati viaggi all'estero e a trasferimenti di persone. “Più criptico di così è veramente difficile” rimuginò Giuliano che aveva la netta sensazione di girare a vuoto.

Infine aprì il terzo file. Una foto di gruppo con sette persone, scattata in una birreria di Salisburgo a giugno del 2040. Come questa immagine fosse legata all'ordine era un mistero perchè non c'erano altre indicazioni, così immaginò che alcuni di loro potessero essere degli affiliati. Impostò il riconoscimento facciale e vennero fuori alcuni nomi, solo un paio. Il resto erano dei perfetti sconosciuti.

Si trattava di Ferdinand Meyer, direttore di banca e di Karin Taschek, psicologa.





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