Ah buona lettura!
Aver
scorto da lontano la sottile linea di fumo salire
dolcemente in cielo
lo rincuorò.
La
strada attraversava rigogliosi boschi di rovere, con il sottobosco
ricco di fiorellini di cui sentiva un leggero dolciastro profumo. Un
fitto canto di uccelli risuonava gradevolmente, mentre il cielo
azzurro, che stava avvampando di un rosso intenso, rendevano aulico
quel luogo. Quel paesaggio collinare sarebbe stato anche gradevole,
ma
la
giornata stava volgendo al termine, era
parecchio stanco e viaggiare da solo lo
metteva ulteriormente a rischio. Non era il percorso più sicuro da
attraversare perchè da
qualche anno erano
aumentati gli episodi di aggressioni e rapine,
ma
era ancora
il
più veloce per arrivare
a Wolkenstad.
La
sua scorta era stata però
massacrata
qualche giorno prima, di notte, durante uno dei tanti attacchi a
danno dei viandanti. Aveva
deciso
di continuare da solo e di non
tornare indietro
a
Haus
der Sonne,
per quanto pensare
che correre il rischio lo avrebbe ripagato non
era stata affatto una buona idea.
Si
era salvato a malapena, uscendo dallo scontro solo con una leggera
ferita al braccio sinistro, ma i suoi accompagnatori erano morti. Gli
erano stati affidati direttamente dal Principe Rupert ed avevano
assolto fino in fondo il loro compito, eppure per quanto quasi
sconosciuti non era stato felice di seppellire i loro corpi nel cuore
del bosco senza una degna sepoltura. Non conosceva la loro religione,
per cui aveva provveduto a cerimoniare secondo il suo credo, sperando
che le loro anime avessero comunque trovato la pace che meritavano.
Accompagnato
da pensieri di morte arrivò infine in vista della locanda. Ad
attenderlo c'era un inserviente dal volto butterato e dalla classica
camicia rossa, che abbozzò un sorriso. Il volto serio di Pargat però
gli fece subito cambiare idea, così fece un mezzo inchino e prese le
redini senza dire una parola.
-
Biada della migliore qualità – disse Pargat scendendo da cavallo.
L'inserviente
prese la strada verso le stalle, non curandosi del cliente, che lo
fissava con aria pensierosa.
L'edificio
era costruito su due piani in pietra di Mannering, con una grossa
porta in legno e ampie finestre con grate. L'insegna, un mezzo sole
in ferro battuto, dondolava un po'. Dal suo interno proveniva un
leggero vociare e un buon profumo di verdure arrostite. Quell'odore
lo mise di buon umore ed entrò nella locanda pregustando una buona
cena. C'erano una decina di tavoli, ma solo quattro erano occupati,
mentre tutte le pareti erano rivestite di scure perline di legno. Se
non fosse stato per gli enormi candelabri si sarebbe fatto molto
fatica a vedere qualcosa, per quanto la luce del crepuscolo entrasse
ancora un po' dalla ampie finestre. Dietro il lungo bancone una donna
ed un uomo armeggiavano con vassoi e piatti. Un enorma camino
riscaldava la stanza e cuoceva le verdure.
-
Cosa posso fare per lei? - chiese il locandiere lasciando perdere i
piatti che stava accatastando. Aveva capelli corti neri, due occhi
azzurri, un volto ovale e indossava un grembuile alquanto zozzo.
-
Vorrei una camera per la notte e mangiare qualcosa – rispose Pargat
notando il sorriso stretto del locandiere. Si domandava se fosse
preoccupato per qualcosa oppure se fosse sempre così.
-
Potete avere la camera che più desiderate e anche per la cena non ci
sono problemi. Come vede questa regione è abbastanza generosa con
noi – disse indicando la grande quantità di verdura appoggiata a
cuocere.
-
Accomodatevi a quel tavolo e appena pronto vi porteremo il cibo –
disse intromettendosi la donna dietro il bancone.
-
Avevamo pattuito che il prossimo cliente l'avrei accolto io –
commentò l'uomo con voce stizzita alla donna.
-
Ma lo sanno tutti Carl che non sei capace di gestire i clienti. Sei
meglio alla cottura delle verdure – rispose cantinelando un po'.
Aveva capelli biondi crespi, legati dietro da un gran fiocco, gli
occhi azzurri e un vestito ampio color verde. Il grambiule era un po'
meno zozzo dell'altro.
-
Questo perché o faccio una cosa o faccio l'altra, ma avevamo deciso
che avrei imparato. Mi sembra un ottimo cliente da cui iniziare –
aggiunse scocciato l'uomo.
-
Non lo ascolti – disse infine la donna a Pargat. - Fa così solo
per fare impressione su quella brunetta che manco lo guarda – disse
indicando una donna che serviva ai tavoli, che non aveva notato
prima.
-
Ma quanto sei pettegola! - rispose Carl lanciando una strofinaccio
umido alla donna, che però schivò.
-
Fratello, non sei bravo neanche a colpirmi. Lo diceva sempre la mamma
che eri buono solo a cucinare – lo canzonò definitivamente quella
che Pargat capì essere la sorella.
-
Vado a controllare le verdure prima che l'ammazzi. Mi scusi signor
come ha detto di chiamarsi? - chiese l'uomo ormai spazientito.
-
Non l'ho detto. Mi chiamo Perset e vengo dalla contea di Neff. Sono
in viaggio di affari – rispose decidendo di non rivelare nulla
della sua vera identità.
-
Benissimo signor Perset benvenuto alla Locanda del sole nascente. Io sono Andrè
e la mia poco simpatica sorella è Chistine. Potete alloggiare nella
stanza numero 3 e appena sarà pronto sarà mia cura portarle il cibo
– disse allontandosi e facendo gesti osceni in direzione della
sorella, che ricambiò allegramente.
Pargat
non si aspettava di trovare un clima del genere nella locanda, ma
quella leggerezza lo distraeva almeno un po' dai pensieri del
viaggio. Si accomodò ad un tavolo e si guardò un po' intorno.
Un
uomo e una donna discutevano tranquillamente di qualcosa che Pargat
non riusciva però a capire. Parlavano a scatti, muovendo molto le
mani. Avevano entrambi i capelli neri, ma l'uomo aveva una importante
cicatrice sulla guancia destra. La donna aveva invece dei lineamenti
fini con labbra sottili. Indossavano le vesti del sud, ampi cappotti
blu e cappelli a tre punte. Si intravedevano delle armi,
probabilmente delle spade, spuntare da sotto i vestiti, ma non capì
se si trattasse di mercanti o avventurieri. Di certo avevano fatto
molta strada per essere lì.
L'altro
tavolo era occupato da un mercante delle terre rosse, facilmente
riconoscibile dal turbante vermiglio. Una comoda palandrana giallina
completava il suo abbigliamento basico. Mentre mangiava i suoi occhi
guizzavano veloci tra i tavoli, come se fosse alla ricerca di
qualcosa.
In
un altro tavolo erano seduti quattro uomini con un armatura leggera
di metalo luccicante. Le loro armi erano appoggiate a una sorta di
rastrelliera posta dietro di loro. Uno aveva un mantello verde con
grandi ricami dorati, mentre gli altri indossava solo una casacca
verde. Al tavolo affianco due uomini grassocci, con le mani piene di
anelli, sembravano rivolgere ai soldati parole di accordo.
Probabilmente si trattava di alti funzionari con una scorta, diretti
in città.
Venne
interrotto da Andrè, che portava finalmente da mangiare.
-
Ecco a lei la cena – disse cerimonioso. - Buon appetito – e se ne
andò.
Pargat
mangiò avidamente il misto di verdure arrosto, con un sugo di funghi
e del buon pane di segale. Da bere gli avevano portato una birra
molto luppolata, che gli ricordava quella che faceva lo zio ogni
autunno.
Poco
dopo il gruppo di uomini armati si alzò, seguendo al piano di sopra
i due funzionari.
Ora
c'era molto meno rumore nella stanza e poteva distinguere meglio i
discorsi dei suoi vicini di tavolo.
Stavano
discutendo su un incarico di protezione finito male. La donna
accusava l'uomo di superficialità. L'uomo accusava la donna di non
aver controllato prima il bosco. Quando si accorsero di essere
ascoltati abbassarono il tono di voce, così Pargat non capì più i
loro discorsi.
Si
distrasse pensando all'indomani. Avrebbe dovuto cavalcare ancora per
tutto il giorno di buona lena per raggiungere la città e raccogliere
le informazioni necessarie per conoscere meglio l'Ordine della pietra
nera.
L'aveva
sentito nominare per la prima volta ad un processo intentato a una
donna che aveva violato la legge veg. Aveva catturato e ucciso un
cervo. Lo aveva poi cotto e mangiato. Tutto ciò andava contro la
legge e andava punito. Durante il processo la donna si era detta
adepta dell'Ordine, ma non aveva aggiunto altro. Alle domande
insistenti di chiarimenti, si era chiusa in un rigido mutismo. Era
stata infine condannata, ma quando era uscita dall'aula un sorriso
beffardo aveva acceso il suo volto. Pargat era rimasto colpito da
quel particolare e aveva chiesto al suo Signore di poter indagare
sull'Ordine. Tra sussurri e parole spezzate, era riuscito a definire
che nella città di Wolkenstadt avrebbe trovato delle buone
informazioni.
Terminato
di mangiare uscì e si diresse alla stalla, per controllare il suo
cavallo. L'assonnato inserviente gli venne incontro e quando lo
riconobbe tornò al suo giaciglio.
Il
suo cavallo quando lo riconobbe nitrì un po', mettendo il muso oltre
la porta. Pargat lo accarezzò con delicatezza. Vide che stava bene,
la biada era fresca ed era stato strigliato bene. Mise poi le mani
sopra le sue scapole ed entrò in contatto con lui. La fusione era
una pratica che tutti gli esseri umani praticavano con gli animali.
Si trattava di uno scambio di energia fondamentale per l'equilibrio
delle razze. Per questo era stata realizzata la legge veg, per
continuare a proteggere gli animali dall'eventualità che gli uomini
iniziassero a cacciarli e mangiarli. Erano stati comunque rari i
processi, ma negli ultimi anni qualcosa era cambiato e le forze
dell'ordine faticavano a stare dietro a quei delitti, spesso
consumati tra le mura domestiche. Era molto facile infatti far
sparire tutte le prove.
Dopo
la fusione si sentì meglio e anche il cavallo lo ricambiò dandogli
una leccata alle mani. Rassicurato che tutto fosse a posto, tornò
alla locanda, prese la chiave della stanza numero 3 e andò a
dormire. Nel frattempo anche gli altri tavoli si erano svuotati.
Quando
entrò nella stanza la trovò accogliente, pulita e senza fronzoli,
proprio come preferiva. Si tolse la mantella color senape e andò
verso il catino, per darsi una lavata al volto. Uno specchio
rimandava l'immagine di un uomo sulla quarantina, dalla lunga
capigliatura corvina. Due occhi azzurri e gli zigomi appena accennati
completavano il suo volto. Era parecchio stanco e le ore tranquille
passate alla locanda lo aveva ulteriormente fiaccato. Si tolse gli
stivali, appoggiò lo spadino vicino al letto ed andò a dormire.
Tenne con sé un pugnale.
Si
svegliò di soprassalto, madito di sudore. Aveva sognato il Clan
Esposito che lo minacciava con una rivoltella piazzata direttamente
in bocca. Si guardò intorno e tutto era in ordine. Sophie aveva
alzato la testa e fatto un mezzo miagolio, come a dire “ è solo un
brutto sogno” poi si era dinuovo addormentata. Gli incubi lo
perseguitavano un po' troppo spesso in quei mesi. Da parecchi anni si
occupava della guerra alla mafia, ma si stava avvicinando il momento
in cui il suo lavoro non sarebbe più servito. Ormai i maggior clan
erano stati sterminati, le loro immense proprietà acquisite dagli
Stati e chi era sopravvissuto viveva carcerato su sperdute isole
controllato giorno e notte da droni.
Un
nome però affiorò, mentre era in cucina che beveva un bicchiere di
acqua viva: ordine della pietra nera.
Cercò
nella memoria finché si ricordò di aver incontrato quel nome almeno
un paio di volte, nei tanti documenti trovati in mano ai mafiosi.
C'erano vaghi accenni a questo ordine, ma le indagini non avevano
portato a nulla. Assomigliava più a un nome da gioco di ruolo
fantasy che a qualche gruppo mafioso, oppure era scritto in codice,
cosa alquanto probabile. Magari era il nome di chi controllava alcuni
gruppi, ma non aveva alcuna prova e anche durante gli interrogatori
quando aveva chiesto spiegazioni, era stato trattato in malo modo,
come se si stesse perdendo del tempo. In pratica nessuno conosceva
quell'ordine, eppure il nome era stato scritto da qualcuno.
Si
segnò mentalmente che quella mattina avrebbe cercato meglio e andò
a farsi una doccia, tanto ormai di dormire non aveva più voglia.
In
bagno lo specchio rimandava l'immagine di un uomo sulla quarantina,
dai capelli neri cortissimi, due occhi azzurri e gli zigomi appena
accennati.
Il
sole su Torino non era ancora sorto in quel tiepido giorno di marzo.
Si
vestì con un completo nero senza cravatta, indossò il cappello
borsalino e uscì di casa per andare al bar a fare colazione.
-
Sei qui presto – disse Alfredo quando entrò nel bar.
-
Ho molto lavoro da fare oggi – rispose Giuliano che non amava
l'invadenza di nessuno, figuriamo dei baristi.
-
Il solito?
-
Sì, preparami un buon cappuccino tiepido e senza schiuma. Le
briosche sono già pronte?
-
Appena sfornate – rispose Alfredo sorridendo e preparando il
cappuccino.
Il
bar sotto casa era un luogo che frequentava poco, solo per la
colazione e per occasionali aperitivi. Non amava la vita mondana e
poi spesso era in giro per il mondo a raccogliere prove per i
processi contro le mafie.
Alcune
volte si era domandato se vivere ancora lì, dopo tutte quelle
persone catturate fosse ancora sicuro, ma non aveva mai visto volti
sospetti e neanche ricevuto minacce, per cui si era convinto di non
essere così interessante tanto da ucciderlo. Forse l'organizzazione
per cui lavorava gli copriva le spalle anche in quella occasione, ma
gli risultava difficile credere che con la loro potenza economica, le
mafie non avevessero mai messo una taglia sulla sua testa.
Sapeva
che alcuni suoi colleghi erano saltati in aria e che lo stesso
Principe Floriant era stato minacciato e viveva sotto scorta, eppure
lui sembrava esente da tutto ciò.
Mentre
beveva il cappuccino guardò fuori il traffico aumentare e nugoli di
ragazzini andare verso le vicine scuole. Quando finì di fare
colazione, pagò e salutò con un cenno il barista, impegnato a fare
altri caffè. Fuori c'era una luce particolarmente forte, per cui
inforcò gli occhiali scuri e si diresse verso la moto parcheggiata
lì vicino.
Salì,
mise in moto e si diresse al suo ufficio, in mezzo alla collina
torinese.
Era
una strada molto piacevole da percorrere, sopratutto una volta
lasciata la città e presa la strada collinare, ricca di curve in
mezzo alle ville dei VIP. Giuliano amava andare piuttosto veloce in
quella situazione e la sua BMW S1000RR teneva perfettamente la
strada. Certo si correva il rischio di fare una brutta fine, ma
finora era sempre arrivato in ufficio tutto intero.
Lasciò
la moto nel parcheggio sotterraneo, infilò l'ascensore e una scanner
oculare fece il suo dovere. Dopo qualche secondo una tavoletta uscì
dalla parete, vi poggiò la mano e disse “Gli farò un’offerta
che non potrà rifiutare”, così l'ascensore iniziò a
scendere.
Dopo
pochi secondi le porte si spalancarono e Giulianoo venne accolto dal
basso vociare dei colleghi. Salutò distrattamente ed entrò nel suo
ufficio. Sulla porta c'era scritto: Responsabile ricerche
internazionali.
-
Trovami tutto quello che abbiamo sull'Ordine della Pietra nera –
disse al computer e in pochi secondi sul monitor a parete apparvero
tre file.
“Tutto
qui” pensò Giuliano non proprio felice della scoperta.
Iniziò
con aprire il primo, che riportava
lo stralcio del libro “De
secreta septem”
e iniziò a leggere.
Nel
1099 il cavaliere templare Hubertus von Koch, di ritorno dalla prima
Crociata, mentre attraversava la Mesopotamia vicino alla città di
Nineveh, ebbe l'apparizione della Dea Isais, figlia di Isis e Set.
Ella
gli ordinò di raggiungere il massiccio dell'Untersberg, in Germania,
e di costruire ivi una dimora in attesa delle sua nuove apparizioni.
Koch,
fedele all'impegno preso, eresse diverse costruzioni, la prima nella
cittadina di Markt Schellenberg, a Berchtesgaden collegate da
gallerie e persino un tempio dedicato ad Isais nella zona
dell'Untersberg.
Koch,
una volta in Germania, ebbe una seconda apparizione nel 1101 e, una
terza, nel 1102, sempre nell'Untersberg. In questo periodo egli
ricevette le cosiddette “Rivelazioni di Isais” "Die Isais
Offenbarung", una serie di profezie concernenti il Sacro Graal.
Grazie alle rivelazioni di Isais, Koch sarebbe entrato in possesso
della pietra di colore nero-violetto, in parte quarzo ed ametista, la
cui immane energia, scoperta ed utilizzata ad Atlantide, avrebbe
permesso l'annullamento della forza di gravità e i viaggi
transdimensionali.
Oltre
allla pietra, con l'identico ordine di nascondere tutti i preziosi
reperti nel massiccio dell'Untersberg, la dea consegnò a Koch lo
specchio di Ishtar che dona la possibilità al possessore di scrutare
le Altre Dimensioni e la Lancia di Odino che apreun varco tra questa
e le Superiori Dimensioni.
Per
difendere tali formidabili segreti, Koch avrebbe fondato l'Ordine de
“Die Herren vom Schwarzen Stein”, “I Signori della Pietra Nera”
e questo occulto ordine avrebbe avuto importanti ramificazioni in
Germania, Austria, Nord Italia ed anche nella parte nord-orientale
della Francia, in Inghilterra, Scozia e Irlanda, nel sud di Norvegia
e Svezia, nonché centri in Medio Oriente e Caucaso, ed infine sull
'isola di Cipro.
Gli
affiliati venivano scelti con grande oculatezza, indifferentemente di
entrambi i sessi, dallo stesso Koch, in aperta violazione ai dettami
previsti dall'Ordine Templare.
Dopo
la fondazione i legami di Koch con i Templari sarebbero divenuti solo
formali ed egli non avrebbe confessato ai suoi superiori il possesso
della Pietra Nera.
Nell
redarre questa breve cronaca si ignora se oggi l'Ordine è ancora in
vita, oppure è stato cannibalizzato dai nuovi gruppi emergenti.
“In
queste storie ci sono sempre di mezzo i Templari, il Graal e altre
menate” pensò Giuliano che un po' conosceva la storia dell'ordine
cavalleresco.
Rimase
un po' in silenzio e poi aprì il secondo file.
Si
trattava delle varie intercettazioni telefoniche, dove il nome
compariva solo un paio di volte, in riferimento a non meglio
precisati viaggi all'estero e a trasferimenti di persone. “Più
criptico di così è veramente difficile” rimuginò Giuliano che
aveva la netta sensazione di girare a vuoto.
Infine
aprì il terzo file. Una foto di gruppo con sette persone, scattata
in una birreria di Salisburgo a giugno del 2040. Come questa immagine
fosse legata all'ordine era un mistero perchè non c'erano altre
indicazioni, così immaginò che alcuni di loro potessero essere
degli affiliati. Impostò il riconoscimento facciale e vennero fuori
alcuni nomi, solo un paio. Il resto erano dei perfetti sconosciuti.
Si
trattava di Ferdinand
Meyer,
direttore
di banca e di Karin Taschek, psicologa.
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