La yakuza intende allargare il proprio potere, fuori
dall’isola giapponese e punta verso la
Cina, la Corea del Sud e Macao. Lo fa per sopravvivere, perché in Giappone dal
2011 la legislazione è più stringente, ma anche per sopravvivere. Interessante che siano riusciti a entrare nei casinò di Macao. Anche se la
criminalità ha perso l’influenza che aveva in passato, può contare ancora su
circa 80 mila effettivi (statistiche del libro bianco sulla malavita del 2010).
E ora cerca nuove opportunità all’estero. Estero non vuol dire però affari
sicuri. Lo stesso boss mafioso sottolineava infatti che fuori dai confini
nazionali non sussistono le stesse regole d’onore che vigono in Giappone. Il
ninkyo-do (letteralmente “la via dello spirito cavalleresco”), lo spirito che
impone a tutti gli affiliati di “aiutare il debole e combattere il forte” e che
regola i rapporti tra i diversi clan, all’estero non offre lo stesso sostegno e
protezione che invece garantisce quando si fa business nel sottopancia
dell’economia nipponica. Riusciranno a essere bravi quanto noi italiani? Ne dubito!
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