Lo
scrive Michael Moynihan, in un saggio pubblicato sull'ultimo numero di «Foreign
Policy», rivista cofondata da Samuel Huntington. Si avventa con furore
demistificatorio sia sulle Lonely Planet, sia sulle Rough Guides, accusate di
criticare molto bene l'Occidente e gli Usa, ma di essere indulgenti verso regimi
e dittature.
Personalmente
adoro le Lonely, le ho usate e ne ho sempre trovato un utile strumento per
pianificare i miei viaggi. Certo che se scelgo di andare in paesi particolari
come quelli analizzati da Moynihan, che ha passato in rassegna le guide di
Cuba, Iran, Corea del Nord e Siria, citando Libia e Afghanistan non vado lì con
informazioni tratte solo dalle guide. Chi decide di organizzare un viaggio in
quei paesi ha le idee ben precise non ci cosa troverà, ma della vicende che
attraversano queste nazioni e nutre una personale curiosità di vedere in prima
persona come vivono le persone.
Marco
Del Corona, autore dell’articolo, scrive infine che “viaggiare sul già
viaggiato non è viaggiare. Però, ahinoi, ci riguarda tutti”.
A
mio parere questo genere di guide propone un modo di attraversare i paesi che
non sia volandoci sopra, ma passandogli dentro, incontrando e parlando con le
persone, in un concetto di viaggio e non di vacanza. Per cui chi decide di
andare a Cuba, conoscerà ovviamente Fidel Castro, ma andando lì vedrà e parlerà
con i cubani, che gli diranno come la pensano. Di ritorno si sarà così fatto un
idea, ancora parziale comunque, di un paese e delle persone che lo abitano.
Forse sarà uguale a quello che scrivono le guide, forse sarà profondamente
diverso. Anche questo vuol dire viaggiare.
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