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giovedì 10 febbraio 2011

27. I sommersi e i salvati


“La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace”, scrive Primo Levi nel saggio del 1986 “I sommersi e i salvati”. Mancava, nelle mie letture, l’autore torinese che spesso si incontra a livello scolastico durante gli anni della formazione obbligatoria. Il saggio, ultima sua opera, sembra voler mettere in ordine e fare il punto su tutta la sua opera, legata alla tragica esperienza del campo di concentramento di Auschwitz e all’ancor più doloroso ritornare ad una normalità che probabilmente non ha mai assaporato totalmente. La vergogna di essere sopravvissuto alla brutalità, alla violenza e ai soprusi per molto tempo ha portato le persone che ascoltavano quei racconti a negarne l’esistenza. Troppo al di fuori di qualsiasi concezione l’esistenza dei campi di concentramento e di quella terribile esperienza quando finalmente, i primi scrittori prendono coraggio e iniziano a squarciare il velo delle negazione, emergendo così in tutta la sua forza la realtà assordante dei vissuti terribili dei prigionieri.
Il sentimento che questi uomini e queste donne provavano,del tutto umano, è legato a molti aspetti di natura psicologica del nostro essere persone. Quando l’istinto di sopravvivenza, i soprusi, la fame, l’isolamento formano un mix micidiale che trasformano gli esseri pensanti in animali feriti pronti a qualsiasi cosa pur di sopravvivere, in una sorta di regressione che i nazisti hanno imposto non solo ai deportati nei lager. Un clima di violenza e di perversione che ha contagiato tutto il mondo, il cui eco è giunto ormai molto sopito ai giorni nostri. Credo che il messaggio più importante che ci lascia Primo Levi sia quello di fare memoria e di ricordarsi che quei giorni potrebbero non essere così lontani, perché pensarlo come avvenimento circoscritto potrebbe essere l’errore più grande che le persone potrebbero commettere.
Il primo capitolo, “la memoria dell'offesa”, l’autore affronta il tema della memoria, nel secondo intitolato “la zona grigia”, tratta dei privilegiati all'interno dei lager, mentre nel terzo capitolo, “la vergogna”, descrive  l'angoscia della liberazione. Nel quarto capitolo, “comunicare”, racconta delle difficoltà linguistiche, mentre nel quinto capitolo, “violenza inutile”, descrive la violenza senza scopo, usata solamente per provocare il piacere sadico. Nel sesto capitolo, “l'intellettuale ad Auschwitz”, l'autore descrive e commenta un saggio di Jean Amery, un sopravvissuto ai lager, mentre nel settimo capitolo, “stereotipi”,  risponde a tre delle domande più frequenti rivolte ai reduci, nel tentativo, da parte delle persone non toccate da quella esperienza, di capire. Nell'ottavo e ultimo capitolo “lettere di tedeschi” Levi commenta alcune lettere inviategli negli anni al seguito della pubblicazione di “se questo è un uomo” in Germania.

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