È un
numero che dovrebbe indurre perlomeno una riflessione, ma è un fenomeno così
lontano, remoto e tutto sommato comodo per noi, che lo dimenticheremo molto
velocemente. A ricordarci che invece il mondo non è un paradiso, è l’organizzazione
australiana «Walk Free», i cui dati sono peggiori rispetto a quelli pubblicati
di recente dalla Organizzazione internazionale del lavoro, che parlava di 21
milioni di schiavi. A vincere la disonorevole medaglia d’oro di questa
classifica è l’India, con 13,9 milioni di persone, di ogni età e sesso,
costretti a lavorare nelle fabbriche come a dedicarsi alla prostituzione. Al
secondo posto la Cina, dove 2,9 milioni di persone vivono in cattività. Fanno
seguito nella classifica della vergogna Pakistan (2,1 milioni), Nigeria
(701.000), Etiopia (651.000), Russia (516.000), Thailandia (473.000),
Repubblica democratica del Congo (462.000), Myanmar (384.000) e Bangladesh
(343.000). Ma anche nella civilissima, avanzatissima e democraticissima Stati
Uniti ci sono ben 60 mila persone che vivono in stato di schiavitù. Sono
americani, ma soprattutto stranieri provenienti da zone come Messico, America
centrale e Paesi caraibici. Questo perché, come dimostra un recente studio, gli
Usa sono sempre di più meta finale del traffico di essere umani.
Per approfondire
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