Maurizio
Fiasco firma questo interessante intervento sull'uso e sulla
manipolazione delle parole quando si tratta di gioco d'azzardo. Per
esempio nella Legge Finanziaria del 2002 che istituì le slot
machine, le slot machine che ora si chiamano col loro nome, venivano
però chiamate “videogiochi a gettone con vincita massima di 50
euro determinata dall'esercizio dell'abilità fisica, mentale e
strategica”.
Continua
sottileneando come questo gioco ha invaso la nostra società
attraverso una palese violazione delle regole e attraverso plateali
normative promozionali. Il gioco d'azzardo industrializzato e di
massa è un gioco che combina alea, ovvero l'elemento casuale, con le
tecnologie. E questa è già una differenza: la tecnologia rende
programmabile il gioco.
Per questo
– anche per questo – prevalgono i giochi a remunerazione modesta
ma raggiungibili da tutti, con una gratificazione intermittente (si
vince e si perde poco, nella singola partita o col singolo biglietto)
e viene di conseguenza meno il valore compensatorio della vincita e
dell'attesa della fortuna (il 13 al Totocalcio di un tempo, per
capirci).
Si è
estinta la fortuna, si è estinta l'attesa della fortuna, si è
estinto persino il pensiero magico perché, attraverso la
combinazione della tecnologia e l'uso esplicito dei risultati delle
scienze cognitive e del comportamento, industrialmente, senza alcuna
protezione, in spregio della Costituzione, si sono introdotte su
larga scale le tecniche e i sistemi del condizionamento operante,
ossia dell'induzione delle persone a ripetere meccanicamente dei
comportamenti secondo i metodi di B. F. Skinner. Su questi
comportamenti si è poi costruito un mercato finanziario derivato.
Un'esperienza, quella del gioco di massa, a bassa soglia di accesso
che impegna sempre più tempo di vita. Ricordiamo che ci sono due
modi per contabilizzare il gioco: il denaro (tanto) e il tempo
(tantissimo) che occorre per spendere quel denaro. E il tempo è
scarso quanto il denaro. È il tempo di vita.
Questo
essere contro le regole non poteva essere ignorato dalla retorica
della politica, perché la Corte Costituzionale in una sentenza
(numero 237) del 1975, lo aveva detto con chiarezza ribadendo il
principio di divieto dell'apertura di sale da gioco, motivando la
propria decisione proprio in base all'articolo 41 della Costituzione
che prevede che l'iniziativa privata è libera, ma non può svolgersi
a danno della salute.
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