Non
è certo una novità. Saranno almeno dieci anni che la situazione è di questo
genere, se non di più. L’ennesima ricerca sui precari sancisce dati già
tristemente noti.
La
laurea non è più un lasciapassare per accedere a un'occupazione stabile. A meno
ché non si tratti di una laurea "tecnica": oggi il "saper
fare" conta più del semplice "sapere". Infatti i laureati in
ingegneria, architettura o scienze mediche hanno una probabilità di
precarizzazione intorno al 10%, pari alla metà dei laureati in discipline
umanistiche o dei diplomati in istituti magistrali, licei artistici e
linguistici. Per chi si è diplomato in un istituto tecnico la probabilità di
precarizzazione è del 12,6%, non distante da quella di un medico o un
ingegnere. L'altro scotto da pagare per i precari è la disparità di salario: un
precario percepisce dal 20% al 33% in meno nella retribuzione netta mensile
rispetto a un collega non precario. Sarà per questo che le aziende italiane
sembrano così allergiche ai contratti "definitivi", agevolate da
leggi nate per aumentare la cosiddetta flessibilità.
Nessun commento:
Posta un commento