Lo
dice il rapporto Oasi (Osservatorio sulle aziende e sul sistema
sanitario italiano) 2014 sullo stato della sanità italiana, messo a
punto dal Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza
sanitaria e sociale (Cergas) e dalla Scuola di direzione aziendale
dell’università Bocconi.
I
conti della sanità pubblica italiana sono tornati (quasi) in
equilibrio. Ma a prezzo di tagli alle prestazioni e di un forte
aumento delle disparità tra cittadini residenti nelle diverse
Regioni. In Lazio, Campania, Calabria e Sicilia, in particolare,
negli ultimi cinque anni il numero dei medici e degli infermieri
dipendenti del Servizio sanitario nazionale è stato ridotto del
15percento. E “in modo casuale”, semplicemente non rimpiazzando
il personale che andava in pensione. Inevitabili, dunque, le
ripercussioni sui servizi.
Il
pericolo è che il sistema, già incapace di offrire servizi adeguati
per la maggior parte dei problemi odontoiatrici e per la non
autosufficienza (la copertura pubblica si ferma rispettivamente al 5
e al 25percento delle richieste nelle regioni più ricche) e debole
nell’offerta di visite psichiatriche e trattamento delle
dipendenze, non riesca più nemmeno a garantire, se non a fronte di
un ulteriore aumento dei ticket, la copertura delle prestazioni
ambulatoriali, indispensabili per la prevenzione, la diagnosi precoce
e il trattamento delle patologie croniche, da cui ormai è affetto il
30percento della popolazione. Per non parlare dell’allungamento
delle liste di attesa per i ricoveri programmati, in un contesto che
ha visto i posti letto ospedalieri contrarsi di quasi un terzo.
Emorragia non ancora finita, visto che secondo il Cergas in futuro
servirà un’ulteriore riduzione del 10-15percento.
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