Il
30 settembre 2014, a soli 24 anni, Xu Lizhi si è suicidato. Oltre a
lavorare in fabbrica anche per 12 ore di fila , Lizhi era un regolare
collaboratore della rivista interna alla Foxconn di Shenzhen, una
metropoli della Cina meridionale da 15 milioni di abitanti. Scriveva
saggi, poesie e recensioni. I suoi versi, semplici e cupi, hanno
trovato un pubblico più ampio solo dopo la sua morte. Sono stati i
suoi colleghi a raccoglierli e a farli pubblicare sul quotidiano di
Shenzhen, in una sorta di rivincita sulla vita. Ognuno di noi prova,
in fondo, a diventare immortale o almeno lo spera. Con le parole
alcuni ci riescono. Il mio augurio è che anche Xu Lizh lo diventi.
Il
foglio davanti ai miei occhi si ingiallisce
Con
una penna di ferro lo incido di nero tremulo
È
il lessico dell’operaio
Fabbrica,
catena di montaggio, altoparlante, cartellino, straordinari, salario…
Sono
stato addestrato
Non
so urlare né ribellarmi
Non
so denunciare, né recriminare
Solo
sopportare la stanchezza in silenzio
Quando
sono entrato qui dentro
Volevo
solo una grigia busta paga il dieci di ogni mese
Che
mi regalasse una consolazione tardiva
Per
questo dovevo smussare i miei angoli e moderare le mie parole
Rifiutare
permessi, malattie o ferie
Rifiutare
di arrivare in ritardo o di andare via prima
In
piedi in catena di montaggio come [fossi fatto di] ferro
Le
due mani [che si muovono] come [fossero] ali
Quanti
giorni? Quante notti?
È
stato così che ho cominciato a dormire in piedi
Xu
Lizhi, 20 agosto 2011
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