Copio
e incollo il pensiero di Eleonora Artesio a proposito del nuovo piano
socio-sanitario appena approvato. Per quanto sembra scritto con un linguaggio
un pochettino tecnico, lo trovo un contributo interessante, soprattutto perché sottolinea
come questo strumento non sia stato utilizzato mettendo al centro i bisogni dei
cittadini, ma che risponde a altre logiche di tipo economico e manageriale.
Temi non certo disgiunti, ma quando si scrive un piano si parte dai bisogni di
salute dei cittadini, che devono essere resi armonico con organizzazione e costi.
Il nuovo piano socio-sanitario
regionale non è uno strumento di programmazione per le seguenti ragioni:
1) non si fonda sulla valutazione
degli obiettivi di salute da perseguire e sul livello di raggiungimento degli
stessi finora attuato. Infatti tutti i commenti della maggioranza sottolineano
che il sistema sanitario piemontese è di qualità, ma troppo costoso; quindi il
piano si propone il contenimento dei costi non la conservazione e il
miglioramento dei livelli qualitativi;
2) gli interventi presentati come
innovativi sarebbero realizzabili a leggi vigenti: l’organizzazione di area
vasta per le funzioni non sanitario-assistenziali era possibile ai sensi della
legge regionale 18/2007 individuando coordinamenti tra aziende o aziende
capofila di funzioni, anziché creare corpi intermedi di diritto privato con i
conseguenti costi dell’amministratore delegato e dei revisori dei conti;
3) la rete ospedaliera si costruisce
attraverso la condivisione di protocolli di intervento tra le componenti
professionali, prima che attraverso un decreto di gerarchizzazione degli
ospedali come invece appare la tabella allegata al piano. L’insufficiente
motivazione fornita ai territori e il disarmante annuncio ribadito
dall’Assessore su Lanzo e sull’Amedeo di Savoia rispetto all’assenza ad oggi di
un progetto di riconversione o di trasferimento lascia aperte le insicurezze e
restituisce un’idea di potere esercitato senza l’obbligo della prova;
4) il ripetuto impegno a riorientare
le risorse recuperate dai risparmi sanitari sull’assistenza non trova
corrispondenza sui programmi delineati per i servizi socio-sanitari.
Relativamente alle non autosufficienze si rimanda a una legislazione futura;
intanto però circolano bozze di delibere per rideterminare i parametri
assistenziali ed economici delle Rsa. Le aree della salute mentale e delle
dipendenze sono trattate in modo superficiale e anacronistico e ignorano le
precedenti soluzioni organizzative, come i dipartimenti delle dipendenze, le
partecipazioni programmatiche e gestionali del privato sociale e delle
associazioni, come nei comitati di partecipazione, i progetti integrati di inclusione sociale, come i piani
locali della salute mentale e delle dipendenze;
5) i progetti di salute allegati al
piano, introdotti a forza di emendamenti, riflettono lo stato dell’arte delle
relazioni tra i professionisti e tra i servizi, ma non introducono impegni
dell’amministrazione regionale per il futuro. Anzi, dove si interviene per
cambiare come nella rete oncologica, sembra che la nuova organizzazione sia
stata pensata più a partire dalle unità operative ospedaliere che dai percorsi
di continuità assistenziali integrati per i pazienti.
Gli emendamenti depositati e discussi
hanno cercato di introdurre nel piano un cambiamento del punto di vista: a
partire dalle persone e dai loro bisogni di salute, anziché
dall’organizzazione; anche perché si spende molta retorica nel parlare dei
percorsi assistenziali e della loro continuità, ricordando giustamente che su
di essi si misura l’efficienza e si produce anche rigore economico, dopodiché
si adotta con la logica dell’emergenza un approccio rovesciato che pretende di
agire sui costi fissi delle strutture del personale. In questa logica anche i
riferimenti alle professioni hanno cercato di documentare i buoni livelli
raggiunti, laddove ci si è organizzati per percorsi e in forma integrata. Su
molti temi il piano ignora le esperienze precedenti e introduce compiti, forse
dipartimenti, che dovrebbero garantire non la continuità ma il passaggio di
responsabilità: chi agisce nell’ospedale e fino a quando e chi agirà nel
territorio e per quanto. Emblematico è il contesto della medicina di famiglia:
se non ci fossero stati gli emendamenti non si sarebbe dato conto nemmeno del
percorso integrato del paziente diabetico il cui buon esito di salute e di
risparmio è indiscusso. Nulla viene detto o favorito rispetto alla medicina in
associazione se non un annuncio
fideistico sulla costituzione dei CAP – Centri di Assistenza Primaria. E’ data
per scontata l’adesione dei medici di medicina generale a questa modalità di
organizzazione delle cure primarie nel distretto, senza che ad oggi siano pubblici
i risultati dei rapporti anche contrattuali intercorsi tra la Regione e le
organizzazione di rappresentanza delle medicina generale. Non è dato sapere
quindi se e quanti CAP si inaugureranno nel breve periodo e se questi
effettivamente rappresenteranno un’alternativa sostenibile anche ai fini
dell’emergenza di bassa complessità, atteso che i CAP vengono presentati come
alternativa ai punti di primo intervento degli ospedali da riconvertire.
Tutto il settore
dell’emergenza-urgenza soggiace ad una attesa di ciò che deve ancora accadere:
archiviata per la forte opposizione professionale e politica l’idea
dell’azienda autonoma del 118, ora è annunciata la costituzione di una
competenza regionale dedicata in Assessorato sulla questione, continuando nella
strada ripetutamente dichiarata dall’Assessore di voler governare più
direttamente questo segmento del sistema, ai suoi occhi segnato da eccessivi
particolarismi e fors’anche da una capillarità cui si vuole mettere mano
attraverso la modifica della “flotta”, passando dalle ambulanze alle auto
mediche cui dovrebbe corrispondere una diversa gestione sanitaria dei codici
lievi.
Sull’impianto complessivo aleggia un
atteggiamento che potrebbe essere definito come minimo di presunzione e come
massimo di autoritarismo: si suppone che la classificazione degli ospedali
modificherà i comportamenti degli utenti e dei professionisti senza rendere
conto del lungo lavoro che invece dovrebbe impegnare l’amministrazione per
passare dalla rete gerarchica deliberata alla rete sanitaria riconosciuta dagli
operatori e riconoscibile dai cittadini. Del resto sia la redazione sia lo
stile di questo piano socio-sanitario hanno estromesso la partecipazione dei
soggetti del sistema: le amministrazioni locali sono state trattate come i sindaci
del campanile; i professionisti dichiarati soggetti in esubero e interessati
alle proprie posizioni economiche o di prestigio; i cittadini come persone da
convincere rispetto a decisioni illuminate, essendo privi di strumenti di
giudizio propri. Non è un caso quindi che il piano socio-sanitario non abbia
ricevuto l’approvazione della Conferenza di Programmazione Sanitaria che è
rappresentativa degli enti locali e delle parti sociali; ma la Giunta continua
ad annunciare la rivoluzione epocale. Adesso si deve documentare la conseguenza
di ogni singolo atto di applicazione di questa presunta riforma, possibilmente
prima che faccia troppo male.
Nessun commento:
Posta un commento