Primo
Levi racconta, in questo diario, l’interminabile periodo tra la liberazione dal
lager e il ritorno a Torino nel 1945. Un viaggio a tratti assurdo, a tratti umano, con
la presenza sempre costante della fame. Un viaggio fatto di incontri, di
espedienti per sopravvivere, di pensieri tesi a conoscere il proprio destino.
Un viaggio con molte tappe, tra Polonia, Russia, Ungheria, Cecoslovacchia,
Austria, Germania e infine l’Italia.
Ci guardammo a vicenda, quasi
smarriti. Avevamo resistito, dopo tutto: avevamo vinto. Dopo l’anno di Lager,
di pena e di pazienza; dopo l’ondata di morte seguita alla liberazione; dopo il
gelo e la fame e il disprezzo e la fiera compagnia del greco; dopo le malattie
e la miserua di Katowice; dopo i trasferimenti insensati, per cui ci eravamo
sentiti dannati a gravitare in eterno attraverso gli spazi russi, come astri
spenti; dopo l’ozio e la nostalgia acerba di Staryje Doroghi, eravamo in
risalita, dunque, in viaggio all’in su, in cammino verso casa. Il tempo, dopo
due anni di paralisi, aveva riacquistato vigore e valore, lavorava nuovamente
per noi, e questo poneva fine al torpore della lunga estate, alla minaccia
dell’inverno prossimo, e ci rendeva impazienti, avidi di giorni e di
chilometri.
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