Chris
Jordan, padre di Emily, morta nel 2008 a causa di un incidente avvenuto mentre
praticava riverboarding a Queenstown (la capitale del turismo d’avventura
dell’Isola del Sud) ha lanciato una campagna televisiva in Gran Bretagna per
invitare i turisti inglesi a non scegliere la Nuova Zelanda come meta delle
proprie vacanze.
Quest’isola
è diventata negli anni un luogo dove praticare praticamente tutti gli sport all’aperto,
compresi quelli estremi, ritagliandosi una fetta importante di PIL, circa il
10%.
La
morte di Emily aveva portato il Governo neozelandese a introdurre nuove regole
per gli operatori del settore. Regole che, per il padre di Emily, non sono
tuttavia sufficienti. Secondo la nuova legge, infatti, le aziende hanno tempo
fino al novembre 2014 per subire un audit delle loro attività e registrarsi in
un apposito albo. Alla fine di maggio, 380 operatori avevano notificato le loro
attività che tuttavia non sono ancora state verificate dal Dipartimento del
Lavoro di Wellington. Inoltre la registrazione è volontaria, per cui solo gli operatori
più coscienziosi si sono mossi, mentre gli altri possono anche evitarlo.
Partire
per una vacanza e non tornare a casa propria perché si è morti in un incidente
mentre si praticava uno sport ,se non estremo molto rischioso, lascia l’amaro
in bocca a chiunque. Figuriamoci il dolore e lo sgomento dei familiari per una
perdita che forse poteva essere evitata.
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